68 anni favoriva il “facchino di Dio”

 

Morire d’amore – Giulia Provinciali

 

“Se è per uscire di qui io voglio andare a morire tra i poveri, all’Istituto di Borgonuovo. Là ci sono tanti ragazzetti senza nessuno, abbandonati, raccolti dalla Provvidenza. Voglio morire attorniato da quei figli, in una casa che vive e pratica la povertà!”: è l’insistenza di chi lo ama, a spingere don Orione ad una affermazione come questa, così coerente con la sua vita. “Avete tante case sulla riviera ligure: è la Provvidenza”, insiste il medico con don Sterpi, infatti, verso i primi giorni del marzo del 1940, le condizioni di salute di don Orione si erano palesemente aggravate, tanto che si ritenne opportuno disporne il trasferimento a Sanremo, convinti che il clima e l’aura potessero in qualche modo giovargli, conciliando, per così dire, un forzato riposo al quale spesso e volentieri don Orione si sottraeva: “Ora... Mi vogliono mandare a Sanremo, perchè pensano che là, quelle aure, quel clima, quel sole, quel riposo possano portare qualche giovamento a quel poco di vita che può essere in me”, ribadisce il “facchino di Dio” nell’ “Ultima Buona notte”, l’8 marzo 1940.

Non accetta certo di buon grado quella trasferta: sente più di ogni altro che le forze lo stanno abbandonando e per chi ha combattuto le più significative battaglie d’amore della sua vita e del suo apostolato tra i poveri più poveri di tutto il mondo, morire in un luogo che poco ha a che spartire con la miseria - e cosi Sanremo appariva a don Orione -, costituisce fonte di grande dolore, tanto che lui stesso andava ripetendo: “Non è tra le palme che voglio vivere e morire, ma tra i poveri che sono Gesù Cristo!”. Obbedisce al suo Superiore diretto, l’abate Emanuele Caronti, visitatore apostolico inviato dalla Santa Sede, in quel periodo accanto a don Orione e alla Piccola Opera, per farle ottenere il riconoscimento pontificio. E il 9 marzo parte per Sanremo, dopo aver lasciato un’indimenticabile testamento spirituale ai suoi Figli: “Sono venuto a salutarvi, perché, piacendo a Dio, domani mi assenterò per qualche tempo: per poco o per molto o anche per sempre, come piacerà al Signore... La prima grande Madre è Maria santissima! La seconda Madre è la Santa Chiesa! La terza, piccola ma pur grande, Madre è la nostra Congregazione!”.

Il 12 marzo del 1940, alle 22,45, dopo aver invocato per tre volte il nome di Gesù, muore.

Coerente in vita e in morte: “morire in piedi!” era il suo desiderio. Così, paradossalmente, in quello che è il suo ultimo giorno di vita, don Orione lascia scritti e tracce indelebili del suo amore: ai suoi figli e alle sue figlie scrive lettere di una carica paterna incommensurabile, con un incipit che è coerenza: “Ave Maria e Avanti!”, perché la prima grande Madre è Maria Santissima; telegrafa persino a Pio XII, che il 12 marzo del 1939 era stato incoronato Papa, con un’indimenticabile cerimonia in San Pietro, perché la seconda Madre è la Santa Chiesa; riceve alle 21,40 la telefonata di un’importante uomo di politica e finanza, Achille Malcovati, che ignaro delle sue condizioni di salute, chiede a don Orione di accettare un’inferma nel “Piccolo Cottolengo” di Genova e don Orione risponde: “Sì!”, perché si muore in piedi, servendo i poveri con una Congregazione nata per loro, perché la terza, piccola ma pur grande, Madre è la Congregazione. Si muore in piedi, portando l’ultimo povero a Cristo, e invocando, coerentemente, con l’ultimo soffio di voce, proprio il Suo nome.

Il giorno della morte di un santo non è l’ultima pagina del libro della sua vita, ma la prima, quella dalla quale si inizia a rileggere tutto, tutto il vissuto di uno “stratega della carità”: è un libro affascinante, un “vangelo vivente”. Sappiamo che, soprattutto in questa sede, “è impossibile sintetizzare in poche frasi la vita avventurosa e talvolta drammatica di colui che si definì umilmente, ma sagacemente “il facchino di Dio”. … Dalla sua vita, tanto intensa e dinamica, emergono il segreto e la genialità di don Orione: egli si è lasciato solo e sempre condurre dalla logica serrata dell’amore”: don Orione muore in piedi, e non è stanco d’amare. Muore d’amore, e muore nell’amore.