Quando viene chiesto di raccontare o, semplicemente, di scrivere il ricordo di una persona cara con la quale si è condivisa molta parte della propria vita, la sensazione immediata che assale l’incaricato è quella dell’incertezza e dello sgomento per non essere quel poco distaccato per descriverne con serenità.

 

Che cosa raccontare, questo l’assillo principale, e come?  Pur non avendo la predisposizione del cronista…ci devo provare sebbene Don Guido fosse un sacerdote, un uomo di Chiesa. Poi a ben pensarci, improvvisamente, a dispetto di tutti i tentennamenti dettati da pensatore laico, tra parentesi mi definiva “mangiapreti”, si affastellano nel ricordo i momenti vissuti al suo fianco, ed i tanti episodi che si cercherò di riportare con riconoscente veridicità tra questi appunti.

 

Ci si riferisce ad un periodo di tempo non piccolo, otto lustri trascorsi dall’arrivo nella nuova struttura di Pescara, all’inizio degli anni settanta, che sono sufficienti anche ai duri di sentimenti a riconsiderare i propri concetti di solidarietà, per giunta con la presenza costante di Don Guido, che seppur chiamato a tanti altri incarichi fuori Pescara, era sempre presente in qualche modo insieme  alle terapiste, alle educatrici, donne ed uomini impegnati professionalmente in un contesto organizzativo e strategico inequivocabilmente cattolico quale è stato ed è, fino ad oggi, l’Istituto Don Orione.

 

Con questa premessa semplice, ma chiara, seppure con partecipazione ed emozione provo a raccontare come un sacerdote accolse molte di noi, tanti anni fa, come riuscì a guidare, educare e portare a professione sicura ciascuna di quelle ragazze di allora.

 

Don Guido non era assolutamente una persona scontrosa o trattenuta nel parlare, ma misurata ed efficace nel trasmettere il pensiero. Anche quando raccontava di sé, della sua famiglia, delle origini, degli studi e del suo cammino personale era schivo dal considerare  o accettare apprezzamenti o lodi per il proprio operato, ritenuto connaturato alla sua missione, sacerdotale, organizzativa e direttiva. Era un uomo gioviale ma umile perché consapevole del ruolo ricoperto.

 

Prima che i ricordi si affievoliscano o scivolino nei canali della dimenticanza è giusto e cristianamente lecito corrispondere amore, seppure alla memoria, di chi tanto ha dato con un poco d’inchiostro sulla carta.

 

Balza allora alla memoria quando man mano che si arrivava in questa casa di Pescara, non solo accoglieva tutti col sorriso, ponendo ciascuno a proprio agio anzi ci organizzò una dimora dove alloggiare tutte noi, dandoci la sensazione di una famiglia che si accresceva di continuo.

Eravamo tutte giovanissime, e naturalmente si preoccupava che tra noi ed i centodieci ragazzi ospiti del centro ci si relazionasse con reciproco rispetto per evitare quanto di poco raccomandabile si sarebbe potuto verificare con una sorveglianza poco accorta. La sua equanimità era proverbiale dispensando attenzioni e riprese ora agli uni ora alle altre in modo da far sentire chiunque ugualmente considerato e stimato.

 

La domenica, portava noi ragazze in giro per l’Abruzzo con un vecchio pulmino Volkswagen, cedendo spesso a me, che ero l'unica ad avere la patente di guida, il volante sulla strada del ritorno per riposarsi un poco e si divertiva a intonare arie popolari come: “quel mazzolin di fiori” oppure “la domenica andando alla messa…”

 

Il suo carattere allegro, gioioso, schietto ed allo stesso tempo severo, dava la sensazione di stare in una famiglia che aveva un padre amorevole e severo che ci educava e proteggeva.

Non dimenticherò mai quella volta che mi rimproverò aspramente e come mi sentissi nel mentre mi parlava e dopo che lo lasciai.

Le uniche volte che si faceva notare  per la durezza delle reprimende era quando qualcuno, chiunque fosse, sprecava il cibo o non ne sapeva rispettare il giusto valore. Non faceva che ripeterci, come se avesse subito un’offesa personale, l’episodio di una ragazza che aveva spento e lasciata una cicca di sigaretta nel piatto col cibo non consumato. Ripeteva sempre con amarezza e dolore quella che definiva una brutta storia, educandoci  alla sacralità della mensa e del pane in particolare, fino agli ultimi giorni che l’ho incontrato.

 

Per gli argomenti del sacro, addirittura, non ci ha mai costrette ad assistere ad una funzione religiosa, lasciando alla scelta personale di ognuno di noi se aderire  o meno. Eppure, chissà come accadeva che eravamo tutte pronte a partecipare a riti e ricorrenze religiose. Nulla sembrava noioso o pesante per noi.

 

Altra grande testimonianza che partecipava a tutti era il suo credere nella Divina Provvidenza ed io ho imparato la grandezza di questo insegnamento.. Non faceva mai mancare la sua attenzione per le necessità lavorative, intervenendo con puntualità e competenza instillando sicurezza nello svolgimento dei  compiti personali di ciascuna.

 

Anche nei momenti di difficoltà si avvertiva la presenza di un Direttore che distribuiva protezione verso tutti: istituto, operatori, e più di tutti i ragazzi ed i pazienti affidati alle nostre cure ed alla sua responsabilità. Non aveva alcunché da mettere in mostra, dato che il suo carisma era una dote naturale e discreta. Tutti gli erano grati e chiunque, anche le persone esterne gli accreditavano stima incondizionata.

 

La sua presenza sul lavoro non era sentita come il fastidio del controllo di un datore di lavoro. Anzi era un grande curioso, voleva conoscere le metodologie delle varie e nuove professioni presenti, accostandosi così con umiltà ai problemi aziendali, facendone poi tesoro nelle valutazioni e nella gestione concreta dell’Istituto.

La sua porta era una porta sempre aperta a chiunque avesse qualcosa da chiedere o da dire, con molte possibilità di scambiare pensieri e opinioni sugli argomenti più disparati. Ricordo un giovane, poi diventato marito di una nostra collega, che passava volentieri dalla sua porta perché riteneva di non perdere un’occasione di arricchimento morale e culturale.

Sapeva sempre dare fiducia ma non si esimeva dal rimproverare con vigore quando capitava l’occasione in cui c’era bisogno di dare un punto fermo di ripartenza anche nella vita privata o sociale.

 

Mio marito mi ha raccontato che quando passava a salutarlo nella sua stanza vicino alla sagrestia di averlo trovato a rivedere i suoi vecchi diari e registri della sua prima direzione pescarese e don Guido gli confidò la sua intenzione di sistemarli meglio e magari darli alle stampe per lasciare una descrizione di anni di dedizione, difficoltà enormi ma anche di gioia per aver avuto una sua certa confidenza con la Divina Provvidenza La sua grafia lo rispecchiava in pieno, essendo di calibro piccolo regolare ed armoniosa.

 

Alla fine volendo dare un mio  modesto parere sulla persona di Don Guido ho la presuntuosa certezza che avesse scelto di seguire Cristo che gli prospettava cose che nemmeno poteva immaginare, che però la sua fede è riuscita ad edificare concretamente; infatti accettava in assoluto tutto quello che proveniva dal Signore.

 

Per  concludere con leggerezza consapevole questo piccolo ricordo, m’immagino di ascoltare due anziani e canuti sacerdoti con le tonache impolverate che salgono per una stradina di campagna  verso un monte alto e luminoso chiacchierando tra loro. Mentre quello leggermente più esile e magro si rivolge all’altro dal fisico più pesante ma agile nonostante le cadute e gl’investimenti da autoveicoli, con accento un poco settentrionale: “ Guido, sono contento di te. Ne hai prese di botte ma le hai anche date, metaforicamente s’intende, a chi frenava il tuo lavoro!”

“Don Orione- risponde l’altro con accento ciociaro, quand’ero ragazzo m’insegnaste che non è buono chi non sa essere buono con chi è cattivo. Ho sempre perdonato e non ho mai portato rancore.”

Poi entrambi riprendono il cammino, raccontandosi altri episodi della loro vita, quando ancora il più grosso domanda: “Adesso che cosa mi capiterà? Cosa dirò al Maestro? Ci vorrà tempo per raccontargli tutta la mia vita, i miei errori, le mie gioie e i miei dolori”.

Il suo vecchio insegnante allora gli risponde con calore: “Guido, cammina, cammina e ricordati cosa ti dissi quando t’accolsi nel collegio: chi si fida di Dio, mette Dio in obbligo di prendersi                                              cura di lui.”     Allego l’ultima   foto con Don Guido insieme a due nipoti: la prima a sinistra Marisa ,figlia della sorella, e l’altra,io,Pasquina,nipote acquisita all’Istituto .        


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