Figli della Divina Provvidenza (FDP)

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ordine alfabetico per Cognome

 

 Necrologio Figli della Divina Provvidenza (ricordati nel giorno anniversario)  

 

T (39)

 

1.      Tacca Carlo

2.      Taggiasco Giuseppe (Fra Antonio)

3.      Tallone Stefano

4.      Tambornini Mario

5.      Tamellini Fermo Rustico

6.      Taramasso Polo

7.      Tascone Antonio

8.      Tassi Arminio Luigi

9.      Tassone Maurizio

10.  Taverna Ernesto

11.  Tedaldi Romeo

12.  Terenghi Damiano

13.  Terzi Ignazio

14.  Tessari Igino Angelo

15.  Testa Armando

16.  Tezze Teofilo

17.  Tiago Milton Zeferino

18.  Tiburzio Michele

19.  Tirello Giuseppe

20.  Tiveron Alvise

21.  Tomasella Renato

22.  Tombari Sergio

23.  Tonelli Giuseppe

24.  Tonini Quinto

25.  Tonoli Rocco

26.  Tonoli Stanislao Mario

27.  Torresan Innocente

28.  Torti Giovanni

29.  Torti Pietro Fra Giuseppe

30.  Tosetti Mario

31.  Tosik Enrico

32.  Toso Bernardino

33.  Toso Giovanni

34.  Tossutti Antonio (Fr. Placido)

35.  Tozzo Luigi

36.  Trevisan Giacomo

37.  Tricerri Antonio

38.  Troiani Domenico

39.  Troncon Giovanni

   

Tiburzio gennaio 1936 Lanus.jpg

Contardi Tiburzio.jpg

Sac. MICHELE TIBURZIO

    da  Avezzano  (L’Aquila), morto nel policlinico di  Buenos  Ayres,  il  16 settembre 1974 a 72 anni  di  età,  55 di  professione e 46 di  sacerdozio.

 

Accolto da Don Orione nel 1916, subito dopo il terremoto di Avezzano (il piccolo Michele aveva perduto l'intera famiglia) da Roma fu trasferito a Cassano Ionio (Cosenza), fece il probandato, il noviziato e, il 17 luglio 1919, emise pure la prima professione.

Dal 1919 al 1923 fu a Tortona, prima al Convitto Paterno come assistente dei giovani tipografi, indi al Probandato di Via Mirabelle in qualità di assistente dei probandi.

Fatto il servizio militare (1923-1924) passò successivamente a San Severìno Marche (Macerata) e poi all'Istituto Manin di Venezia. Nel 1927 ritornò a Tortona per completare il corso di Teologia, e nel 1928 fu ordinato sacerdote da Mons. Grassi.

Il 15 agosto 1929 partì per l'America del sud assieme a Don Giuseppe Montagna, si fermò per breve tempo a Montevideo (Uruguay) e poi raggiunse l'Argentina, ove prestò la sua preziosa opera nelle varie istituzioni della Piccola Opera ivi esistenti.

Fu a Victoria e a Nueva Pompeya (1929-1936) diresse le scuole al « Boneo » di Rosario (1937-1947), e al « San Martin de Tours » in San Fernando (1947-1956) poi, fino al 1962, nel Chaco a Saenz Pena, nel 1962 fu mandato a Gerii con l'incarico di aprirvi una Casa per Giovani Lavoratori indi fu direttore del « S. Vincente de Paul » in Avellaneda (fino al 1968), e infine a Villa Lugano in Buenos Ayres, suscitandovi quella scuola industriale che doveva essere la estrema, generosa sua fatica.

Era ritornato in Italia nell'agosto del 1946 per partecipare al secondo Capitolo Generale della Congregazione, e recentemente per rivedere i suoi parenti che gli rimasero sempre tanto affezionati.

Don Michele Tiburzio imparò dalla sofferenza ad essere comprensivo dei bisogni altrui e generoso nel soccorrerli.  Fece tanto bene nel campo dell'apostolato caritativo ed educativo, ove si prodigò con entusiasmo, distinguendosi soprattutto per l'inalterabile spirito di giovialità con cui si attirava la simpatia e la benevolenza di quanti lo avvicinavano, specie dei giovani.

Colpito da un male inguaribile fu assistito amorevolmente dai nostri Religiosi che lo curarono nell'ospedale nostro di Claypole. Aggravatosi, fu trasferito nel policlinico di Buenos Ayres, da dove ritornò al Signore il 16 settembre 1974.

Atti e comunicazioni della Curia Generale

 

DON TIBURZIO: 45 ANNI DI FATICHE IN ARGENTINA...

Ho scritto così, carissimi, soprattutto pensando al compianto Don Tiburzio e ai suoi 45 anni di fatica in Argentina. Sempre allegro e scherzoso si era guadagnato la benevolenza di tutti: confratelli, insegnanti, parrocchiani, alunni, famiglie, nelle varie Case dove la Provvidenza lo aveva mandato e dove — tornando — si sentiva desiderato come amico di tutti. Ricordo il giorno in cui si era insieme a Saenz Pena, nell'aprile 1964, quando fece l'ingresso il pri­mo Vescovo di quella nuova diocesi del Chaco, che era stata, fin'allora (in buona parte) la immensa parrocchia dei figli di Don Orione. Era così popolare, il P. Tiburzio, e vi riceveva attestazioni così calorose che ad un certo momento lo sentii dire (con una di quelle battute che gli erano caratteristiche): « Bisognerà che non esca, quando passerà il nuovo Vescovo: perchè la gente farà forse più festa a me che a lui, e potrebbe offendersi... ».

Trentacinque anni di lavoro, di sacrificio, nelle scuole e nelle parrocchie, da una parte all'altra dell'Argentina, non avevano me­nomamente inciso sui suo abituale umore! Aveva passato la set­tantina e continuava a prodigarsi, felice — non c'è ombra di am­plificazione — di rimanere sulla breccia (ancora tre anni fa, a Lanùs, con oltre mille alunni ed un solo confratello in aiuto) anche se la salute non era più quella di una volta e ripetutamente aveva dovuto essere ricoverato all'ospedale di Claypole. Ma, quasi mira­colosamente, ne era sempre uscito.

Speravo che il miracolo si ripetesse, quando il P. Beron, set­timane fa, mi aveva comunicato che il P. Tiburzio non stava bene, che era all'ospedale e si temeva purtroppo un male inguaribile. Furono alterne vicende. Ad una nipote, molto affezionata, che te­lefonava ogni giorno da Ladispoli, avevo potuto dare migliori noti­zie la mattina dei 16 settembre e la sera dovevo purtroppo comu­nicarle che don Tiburzio era mancato per collasso improvviso, quando pareva profilarsi un miglioramento.

Dandomi notizie il P. Beron mi ha mandato una ietterà, tro­vata sul comodino dell'ospedale. Stava scrivendomi (chissà, con quanta fatica, povero e caro Don Tiburzio e con quale amore!) ma non riuscì a completarla... Penso che io farà ora dal cielo, dove lo penso accanto a Don Orione, con Don Piccinini, Don Di Pietro, Don Del Rosso, coi ragazzi che, salvati dalle macerie del terremo­to di Abruzzo, seppero esprimere con la prova più grande di amore la loro gratitudine, mettendosi nelle mani di Don Orione e dando, come lui, la vita per i fratelli. Anche e specialmente il P. Tiburzio merita ben più che queste righe di ricordo, e dovremo onorarlo in modo degno. Intanto, non potendo per ora dire di più, lascio parlare lui. Sentite che cosa mi scriveva nella sua lettera rima­stra incompleta:

 

...E L'ULTIMA SUA LETTERA, INCOMPIUTA

 

« Buenos Aires, 12-9-74 (dia de Don Orione)

«Carissimo Don Zambarbieri e membri del Consiglio Gen. « Ricevo or ora la sua più che fraterna lettera del 30 di agosto pp.

« nell'ospedale « Scuola General San Martin » dove fui internato direttamente da Claypole il giorno 14-8-1974. Mi curano molto « bene. Finora mi praticarono 54 analisi tutte negative. Al presente ho ricuperato tutte le mie forze secondo i suoi auguri. Al ricevere la presente starò in Claypole per alcuni giorni di convalescenza. Però i miei superiori così dispongono et causa finita est. Al leggere la sua, forti emozioni fino alle lacrime si impossessarono di me, pensando che in congregazione ancora ci amiamo. Deo gratias!

« Si aggiungano a questa circostanza i cari e cordiali ricordi dei carissimi confratelli del C.G. le cui firme interpretavo con le lacrime negli occhi e più nel cuore. Quella che più mi costò  fu la firma del carissimo Don Pilatowicz a cui esprimo le mie condoglianze per il trapasso all'eternità del caro Don Szymkus. Devo compiere una promessa fatta ai confratelli della Polonia « mandando loro una bellissima e lunga lettera che Don Orione « mandò al P. Szymkus ed a me, stando in Rosario.

« In Villa Lugano sto aspettando una risoluzione del Ministero " de Bienestar Social " per la ricostruzione dei reparti di scuola tecnica. Una fabbrica (Carnea) mi ha dato 30.000.000 di pesos che ho investito per la costruzione di 5 aule di 9,50x6,30 metri (son quasi terminate). L'altro ieri ricevetti 27.000.000 di  pesos dal Municipio di Buenos Aires per interessamento di un  gruppo di deputati peronisti e di un professore del Collegio per « l'educazione fisica.

« Durante questa malattia mi sono state di molto conforto le visite di molte famiglie — ex alunni, alunni e alunne dei vari collegi — tutti dona ferentes ...doni che compartecipavo con i  degenti del mio reparto.

« Ho il permesso di celebrare nella mia stanza. Di tanto in  tanto mi tocca assistere alcuni ammalati gravi. Questa volta sono stato prossimo al Rubicone... L'ho potuto varcare. Però San Pietro mi comunicò di dar grazia a Dio per trovarsi il paradiso in  completo periodo di ampliazioni edilizie...

« Il giorno 12 di agosto mi sorpresero dolori intensissimi che mi paralizzarono la respirazione, la circolazione. La pressione oscillava dal 28 al 4. Il medico considerava un caso perduto. « Ordinò al P. Beron presente nella mia stanza di andare a comperare d'urgenza iniezioni riattivanti. Arrivarono a tempo ».

 

Si riprometteva di darmi altre notizie, povero e caro P. Tibur­zio, nella lettera scritta in varie riprese. Invece, improvvisamente si aggravò quando ormai sperava di tornarsene a casa.

Il P. Beron — nel riferirmi i particolari degli ultimi giorni (quanta fede e che serenità di fronte alla morte!) e dicendomi lo stupore di tutti, all'ospedale, per il continuo succedersi di visita­tori, specie di giovani, accanto al letto del P. Tiburzio - mi ha partecipato l'enorme rimpianto suscitato dalla morte di un con­fratello straordinariamente amato da tutti, accennando alla provvi­denziale circostanza per cui, a presiedere la concelebrazione il giorno dei funerali al Piccolo Cottolengo di Claypole, c'era il Ve­scovo di Saenz Pena, Mons. Di Stefano, che aveva conosciuto tan­to bene P. Tiburzio nel Chaco e sapeva di che cosa era stato ca­pace in anni tanto difficili.

« Abbiamo perduto una colonna della Provincia », afferma il P. Beron. E' verissimo. Con questa e con altre colonne che rispon­dono ad uomini di fede e di sacrificio, come P. Zanocchi, P. Dutto, P. Montagna, P. Enrico Contardi, P. Cesare Di Salvatore, P. Benito Anzolin (e l'elenco sarebbe lungo) che cosa è riuscito a costruire, Don Orione, in Argentina! E' un pensiero che deve far riflettere. E se si vuole onorare degnamente la loro memoria — dal P. Tiburzio al primo « missionario » che ha incontrato la morte lavorando in Argentina — penso non ci sia modo migliore che camminare nel solco in cui hanno faticato questi pionieri, così fedeli e generosi nella fedeltà al Fondatore. (Don Giuseppe Zambarbieri)