Figli della Divina Provvidenza (FDP)

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ordine alfabetico per Cognome

 

 Necrologio Figli della Divina Provvidenza (ricordati nel giorno anniversario) 

 

                 C (111)

 

1.      Cabras Angelo

2.      Cabri Mario

3.      Cacciola Pietro

4.      Cacciotti Saturno

5.      Cacciutto Luigi

6.      Cagnacci Gabriele

7.      Caione Luigi

8.      Calegari Adriano

9.      Callegari Giuseppe

10.  Calzolari Cincinnato

11.  Camilloni Renato

12.  Camilloni Romolo

13.  Camorani Arcangelo

14.  Campanelli Nazareno fra Bernardino

15.  Campanini Giovanni

16.  Campos Taitson Fernando

17.  Canavese Ernesto

18.  Candoni Luigi

19.  Canini Eliseo

20.  Canini Eugenio Fausto

21.  Cano Marcellino

22.  Cantoni Lino

23.  Capelli Fausto

24.  Capettini Ernesto Fra Romualdo

25.  Cappelletto Luigi

26.  Caprioli Giovanni

27.  Carbone Giuseppe

28.  Carbonelli Luigi

29.  Carboni Antonio

30.  Cardona Antonio

31.  Carello Giuseppe

32.  Carletti Vincenzo

33.  Carminati Giovanni Battista

34.  Carminati Luigi

35.  Caronti Emanuele

36.  Carradori Gino

37.  Carvalho Luis Fernando

38.  Casa Francesco

39.  Casanova Consier Felice

40.  Casati Giovanni

41.  Casciola Brizio

42.  Cassol Arcangelo Raffaele

43.  Cassulo Mario

44.  Castagnetti Francesco

45.  Castegnaro Antonio

46.  Castellaro Evasio

47.  Castiglione Giuseppe

48.  Castiglione Salvatore

49.  Cavaliere Ferdinando

50.  Cavalli Guglielmo

51.  Cavallo Giuseppe

52.  Cavani Adolfo

53.  Cavarretta Giuseppe

54.  Cavarretta Ignazio

55.  Cavazzoni Fernando

56.  Ceccarelli Gaetano

57.  Ceccato Mario

58.  Cenci Francesco

59.  Cerasani Antonio

60.  Cerruti Giacomo

61.  Cesaretti Carlo

62.  Cesaro Albino

63.  Cezario Jazi Custodio

64.  Chiaratti Gaetano

65.  Chiarini Enito

66.  Chiavassa Bernardino

67.  Chiocchetti Emilio

68.  Chiocchia Domenico

69.  Chizzini Cornelio

70.  Chwilowicz Aleksander

71.  Ciacci Nazareno

72.  Ciccioli Francisco

73.  Ciccioli Remo

74.  Cichy Jozef

75.  Cicolini Bruno

76.  Cicuttini Giuseppe

77.  Ciolli Enrico

78.  Ciolli Paride

79.  Ciuffarella Giobatta

80.  Coata Paolo

81.  Codutti Luigi

82.  Collina Marino

83.  Colombara Vittorio

84.  Comba Ottavio Giovenale

85.  Confalonieri Giuseppe

86.  Contardi Enrico

87.  Conti Ettore

88.  Contoli Giuseppe

89.  Corazza Cesare

90.  Corona Germano

91.  Corrado Alberto

92.  Corriga Ignazio Francesco

93.  Corro Ettore Antonio

94.  Costamagna Costanzo

95.  Costantini Luigi

96.  Costanzi Ivo

97.  Cotani Carlo

98.  Crapelli Giovanni

99.  Cremaschi Giulio

100. Cremaschi Ippolito

101. Cremasco Angelo

102. Crescenzi Rocco

103. Cressotti Giuseppe

104. Cribellati Felice

105. Cruciani Giovanni

106. Cruciani Ugo

107. Cuciz Alberto

108. Cupini Andrea

109. Curci Aldo

110. Curetti Giuseppe

111. Cutarelli Carlo

Sac. Ferdinando Cavaliere

 

da Vescovana (Padova), morto a Roma il 21 luglio 1976, a 61 anni di età, 39 di Professione e 36 di Sacerdozio. Riposa a Roma Verano.

 

Don Ferdinando Cavaliere una lampada nel buio di una chiesa, "Don Orione", ottobre 1976 

 

La “Lavagna d’oro” a don Cavaliere, “Don Orione”, giugno 1973.

 

Don Ferdinando Cavaliere a cento anni dalla nascita. Don Orione oggi, luglio agosto 2014

   

       Nato a Vescovana (Padova) il 27 luglio 1914 e ultimate le scuole elementari al paese natio, entrava il 5 maggio 1925 nel Collegio Manin di Venezia incontrandosi così con la famiglia religiosa di Don Orione.

Nel predetto nostro Collegio frequentava le classi VI, VII, VIII secondo il vigente regolamento scolastico e, manifestando chiari segni di vocazione sacerdotale e amore alla nostra Congregazione, passava nel 1929 all'Istituto apostolico di Voghera ove espletava il biennio del ginnasio superiore.

Dotato di vivacissima intelligenza e ottima volontà nello studio, veniva inviato dai Superiori a Roma per frequentare la Pontificia Università Gregoriana, risiedendo nell'Istituto Divin Salvatore di Via Sette Sale. Dal 1930 al 1933 compiva gli studi liceali e filosofici conseguendo la Licenza in Filosofia. Dal 1933 al 1940 espletava il completo corso teologico laureandosi brillantemente in sacra Teologia.

Nell'anno 1935-1936 interrompeva gli studi per compiere regolarmente il suo anno di noviziato, emettendo la prima professione in data 7 ottobre 1936. Tre anni dopo, il 21 dicembre 1939, emetteva la professione perpetua e veniva ordinato Sacerdote il 21 aprile 1940.

La sua vita sacerdotale fu caratterizzata da zelante attività nel campo della formazione, della pastorale e degli studi, illuminata da profondo spirito di pietà e serietà di preparazione che lo portò a una non comune competenza, soprattutto nel campo teologico morale.

Dal 1940 al 1942 fu docente di Teologia dogmatica alla Casa Madre di Tortona e nello stesso tempo insegnante di Filosofia presso il Collegio San Giorgio di Novi Ligure.

Dal 1942 al 1945 ebbe da Don Sterpi il delicato compito di dirigere l'Istituto pastorale « Mater Dei » per sacerdoti novelli presso il Castello Burio di Costigliole d'Asti.

Dal 1945 al 1948 fu Maestro dei novizi a Villa Moffa di Bra, per poi riprendere nel biennio 1948-1949 la direzione del Castello Burio.

Dal 1949 al 1953 espletò l'ufficio di Padre Spirituale presso il Teologico di Tortona. Seguì poi lo speciale incarico di dirigere i nostri Eremiti, con residenza sul Monte Soratte e stendere un nuovo regolamento che meglio ne garantisce l'interiorità di vita e lo spirito penitenziale (anni 1953-56).

Nel 1957 risiede con speciali incarichi presso la Casa Generalizia a Roma. L'anno seguente lo vede nuovamente direttore dei chierici in Via Sette Sale, finché nel 1958-1959 riprenderà l'ufficio di direttore dell'anno di pastorale, ma con sede presso l'Istituto San Filippo Neri di Roma.

L'ultima parte della sua vita si può dire trascorsa quasi totalmente presso l'Istituto Teologico a Tortona e quindi a Roma dopo il capitolo del 1969. Prima professore di Teologia morale, diviene direttore dello stesso Teologico dal 1969 al 1972.

Dal 1972 al 1975, pur mantenendo una cattedra al Teologico, è Maestro dei novizi italiani e spagnoli presso il noviziato di Villa Borgia a Velletri. Dopo il Capitolo del 1975 che, come quello del 1969 lo ebbe fra i membri più quotati ed efficienti, ebbe l'incarico di dirigere il nuovo Istituto centrale di Formazione permanente, mantenendo pure l'ufficio di docente e Padre spirituale al Teologico di M. Mario a Roma.

Religioso dottissimo, animatore apprezzato nelle commissioni dei Capitoli generali, ricercato predicatore di corsi d'Esercizi al Clero e alle Suore in Italia e all'estero, D. Cavaliere ci ha lasciato non pochi preziosi studi sui più recenti argomenti di vita religiosa e pastorale. Numerosi pure i suoi articoli sul Bollettino «Don Orione» ove trattò di moderni scottanti problemi morali e sociali.

Alla sua mano e al suo pensiero si deve gran parte dei documenti dei recenti due Capitoli, nonché delle stesse nostre Costituzioni.

Due anni or sono il Vicariato di Roma, riconoscendo i suoi speciali meriti, gli conferì, in pubblica riunione, l'onorificenza della Lavagna d'oro.

 

  Atti e comunicazioni della Curia Generalizia

 

 Noi studenti del Teologico ci davamo il turno per assisterlo in Ospedale giorno e notte. Stava proprio male e soffriva moltissimo. Con noi però si mostrava sempre gioviale e si sforzava di tenerci sereni. Ci faceva pregare e anche cantare. Difatti oltre ad essere nostro insegnante e padre spirituale, era anche musicista. Anche quando era sul letto di ospedale e noi andavamo a trovarlo, quando vedeva che eravamo più persone, spesso cominciava a farci pregare cantando, insegnandoci i canti religiosi da lui composti. Ci si chiedeva, viste le sue condizioni di salute, dove trovasse la forza per cantare e mostrarsi nella gioia. Alcuni di noi dicevano che era un effetto dei farmaci. Ma se è vero che, quando non ci si controlla più tanto, si mostra meglio quello che si ha dentro, don Ferdinando mostrava solo gioia e voglia di pregare e pregare cantando.

Con gli Angeli nel cielo sarà sicuramente un “maestro di coro” per dar gloria a Dio nella gioia.

                                                                                                                                                  Angelo De Ninis

 

Messaggi di Don Orione, quaderno 80,

ed. Piccola Opera della Divina Provvidenza, Tortona - Roma.  

Don Ferdinando Cavaliere, Un maestro di vita religiosa

di Luigi Piotto, 1992.

 

PRESENTAZIONE

                                      La prima volta che il chierico Cavaliere mi disse - agosto 1930, sulle rive dello Staffora, Voghera, - mentre scarabocchiavo parole greche, fu: «Io in greco mi chiamo ippéus»; "cavaliere" appunto. Dopo di quella, di parole ce ne siamo dette tante e, fino all'ultima, il 14 luglio 1976, verso mezzogiorno. Ero appena tornato da Mosca, e andai a trovarlo, sapendolo da tempo assai grave: «II Signore vi conceda tutto ciò che desiderate, tutto ciò che desiderate». Parlava a fatica, ma non potevo in alcun modo pensare che una settimana dopo non gli avrei più parlato. No, l'ultima volta che gli parlai fu alla fine della liturgia funebre officiata da Don Terzi, mentre il suo feretro era letteralmente coperto di fiori, tanto che, gli dissi, temevo che egli non mi potesse udire. Con lunghi intervalli, passai molti e lunghi periodi con Don Cavaliere, spesso porta a porta sullo stesso corridoio. Anni di studio, da chierici, a Roma, Via Sette Sale. Un anno di tirocinio a Tortona, insegnando ai confratelli di Liceo. Ultimi anni di Teologia, a Roma, prima della Ordinazione sacerdotale. Anni all'Istituto Teologico, io sempre là, lui ritornante ora come padre spirituale, ora come professore di Teologia Morale (a Tortona), ora come direttore (primi anni del Teologico a Roma).

Oltre alla comunanza di ideali orionini e apostolici, molti erano gli interessi, diciamo così, secondari ma connessi, che ci univano. Le arti in genere. Cavaliere aveva spiccate doti di natura artistica, e la sua bella e ariosa calligrafia ne era un indizio: si interessava di letteratura (mio socio d'esami nell'interrogare su Dante); disegnava con rapidità e arguzia (ho ancora un suo schizzo "Bressan poeta"), di pittura (la prima volta che visitammo, 1934, i musei vaticani: lui a leggere la descrizione della "Disputa del SS. Sacramento" e della "Scuola di Atene", e io a guardare...).

Ma la nostra maggior sintonia, in questo campo, era musicale. Per nostra fortuna non esistevano allora né radio né televisione, per cui tutta la nostra musica era quella liturgica. Io devo a Carlo Nicola - allora nostro chierico assistente (Voghera, anno scolastico 1931-32), il basilare dono d'una conoscenza non superficiale del canto gregoriano, cui andavano le esclusive preferenze di Don Orione.

Devo a Cavaliere - al suo spirito d'iniziativa e al suo coraggio - la scoperta della polifonia palestriniana. La ci voleva tutta per pensare di eseguire, a Sette Sale, Dicembre 1933 (per l'ordinazione di Don Corazza), il Pueri hebraeorum di Palestrina! Poi, a Pasqua dell'Anno Santo 1934, sul Soratte, /'Adoramus te Christe, sempre di Palestrina. E quante altre volte, negli anni successivi, le diverse nostre chiese e cappelle risuonarono delle meravigliose polifonie sacre, dirette, secondo i casi, da lui o da me, ambedue autodidatti. In quelle esecuzioni Cavaliere si impegnava talmente a fondo da soffrire fisicamente (e noi a sorridere quando, in qualcuna di quelle crisi, che ritenevamo di cuore, Don Orione serio serio gli diceva: «Tu con quel cuore morirai»; non era ancora l'epoca dei trapianti...). Dirigeva con gesto elegante ed efficace, rendendo vive quelle musiche, come avevamo sentito fare, a Roma, dal maestro Casimiri.

Impossibile ricordare le innumerevoli occasioni di dialogo tra noi. L'uno trovava sempre nell'altro la possibilità d'un aiuto. Talora ci trovavamo su posizioni diverse, in questioni opinabili. Ricordo, per esempio, come egli ritornasse alla carica sul tema del nostro amare Dio. Lui, di temperamento contemplativo, insisteva sulla tesi che noi amiamo Dio direttamente, come oggetto immediato (vedi i religiosi di vita contemplativa), e recalcitrava di fronte al mio sostenere - sulla scia di Paolo e di Giovanni - che noi (contemplativi non esclusi) possiamo amare Dio solo mediatamente, cioè amando il prossimo. Fosse lontano o vicino, Don Cavaliere mi tempestava con richieste su singoli passi della S. Scrittura: egli voleva servirsene con assoluta esattezza, e in quegli anni si era, in Italia, solo agli albori d'uno studio scientifico dei testi sacri.

Da anni egli ha già la risposta alle nostre incertezze. Ma anche il solo riandare con la memoria alla lunga fraterna comunanza di vita con Don Cavaliere è per me una ricchezza. Ragione per cui non posso che raccomandare vivamente la diligente ricostruzione della vicenda umana e spirituale di questo carissimo e compianto confratello, fatta da Luigi Piotto, sotto la guida di Don Elio Ferronato, qui, al nostro Teologico, l'anno accademico 1981-1982. Non potrà non arricchire chi la leggerà.

D. Gino Bressan FDP.

 

I - SULLE ORME DI DON ORIONE

II notevole sviluppo e l'ammirazione che suscitarono le opere intraprese dal Beato Don Orione devono certamente la loro fama e capacità di coinvolgimento allo slancio "caritativo" del Fondatore. Non deve tuttavia essere sottovalutato l'apporto dato dalla schiera di uomini che per primi si posero sulla stessa scia luminosa, lasciandosi da essa condurre ed entusiasmare.

Anzi, la grandezza di Don Orione appare anche da questo: dall'aver saputo trasmettere a chi voleva collaborare con lui il suo stesso fuoco di carità. In questo modo lo spirito che animava il Beato Fondatore potè propagarsi oltre i limiti, pur eccellenti, del singolo, raggiungendo e incendiando tante anime.

Fu così che Don Orione, senza bisogno di particolari miracoli di ubiquità, era presente e operante nei diversi luoghi dove vivevano le prime comunità di religiosi formatesi al suo seguito. E chi veniva a contatto con tali comunità già poteva conoscere chi era Don Orione, pur senza averlo mai visto, e sentirne il fascino irresistibile.

1. Cenni biografici (l) 1) - Questo quaderno è un estratto della tesi di Teologia spirituale elaborata da don Luigi Piotto nell'anno 1981-1982 all'Istituto Teologico Don Orione (Via della Camilluccia 112 -Roma). In essa si trovano i riferimenti alle fonti e testimonianze.

Ferdinando Cavaliere, ragazzo undicenne, conobbe inizialmente Don Orione proprio in questo modo, attraverso i suoi religiosi. Nel loro modo di vivere, di agire. di interessarsi per gli altri riconobbe i lineamenti dell'"artista" che sa far rivivere nelle sue opere la sua stessa personalità. E volle anche lui "essere di Don Orione", vivere quegli stessi ideali, lavorare a servizio della Chiesa. E anche in lui Don Orione seppe, direttamente e indirettamente, far fiorire il suo carisma: portare, attraverso le opere di carità, le anime al Papa, alla Chiesa, cioè a Cristo.

Ferdinando Cavaliere, originario di Vescovana (Padova), era nato il 27 luglio 1914 da Napoleone e Cristina Sola.

Dai suoi genitori ricevette certo una sana educazione cristiana, ma la sua vita avrebbe percorso una strada diversa se la Provvidenza non avesse guidato le sue scelte.

Infatti, dopo aver frequentato le prime tre classi elementari al paese natio, e la quarta e quinta nel vicino paese di Stanghella, seguendo i consigli dei genitori, si adoperò per ottenere l'abilitazione professionale di meccanico. Si iscrisse allora all'Istituto Manin di Venezia, dove da pochi anni i religiosi di Don Orione avevano iniziato la loro attività. Frequentò il corso professionale di meccanica e contemporaneamente "in qualche modo" (come egli stesso ha lasciato scritto) svolse i primi tre anni della scuola ginnasiale.

Il fervore che animava i religiosi orionini, la familiarità che regnava all'interno di quell'istituto fecero ben presto breccia nel sensibile animo del ragazzo. Le visite poi di Don Orione alle sue case erano sempre momenti di grande festa per tutti e anche uno stimolo tortissimo a un impegno cristiano sempre maggiore: era una presenza che dava gioia e trascinava.

La vita di Ferdinando prese in quegli anni una nuova direzione. Capì che il suo avvenire poteva assumere ben più vasti e luminosi orizzonti di quelli di un banco da meccanico.

Manifestò il suo desiderio di essere come Don Orione per condividere quegli stessi ideali che tanti giovani e sempre più numerosi andavano abbracciando. Evidentemente anche a lui piaceva il modo di fare e di vivere che avevano i "preti che corrono", come appunto i veneziani subito soprannominarono i religiosi di Don Orione al loro primo apparire nella città lagunare.

Ferdinando fu allora indirizzato al piccolo seminario orionino di Voghera, dove nel 1929/30 completò gli studi ginnasiali. Secondo l'uso del tempo, nella festa dell'Immacolata di quell'anno rivestì l'abito talare, entrando a far parte della Famiglia di Don Orione.

Proprio in quegli anni Don Orione stava cercando di far compiere alla sua Famiglia un "salto di qualità": voleva che i suoi religiosi, dovendo essere i "Gesuiti del popolo" (come egli stesso soleva definirli), fossero anche una forza culturale all'interno della Chiesa a disposizione del Papa. A questo scopo aveva deciso di inviare alcuni dei suoi migliori chierici a frequentare, a Roma, l'Università Gregoriana. Lo stesso Fondatore sceglieva solo quei giovani sui quali poteva riporre con sicurezza le sue speranze: in quell'anno, 1929, partiva così un primo gruppo alla volta di Roma.

Risiedendo all'Istituto Divin Salvatore in via Sette Sale, quella giovane comunità, guidata da Don Silvio Parodi, divenne oggetto di particolari cure e attenzioni da parte di Don Orione. Egli regolarmente la visitava intrattenendosi, quale padre premuroso, con i giovani studenti, infervorandoli alla santità e allo studio, spesso manifestando loro le sue preoccupazioni e desideri, prospettando i grandi progetti di "conquista" che li attendeva.

E quei giovani tanto seppero rispondere alle aspettative del Fondatore che l'iniziativa fu continuata. L'anno seguente, 1930, un altro gruppo di "scelti" si affiancò ai primi; in questo secondo gruppo c'era Ferdinando Cavaliere.

In breve tempo egli si era imposto all'attenzione dei suoi superiori, oltre che per la "soda pietà" che Don Orione chiedeva, anche per una non comune intelligenza. Due qualità che Don Orione richiedeva come presupposti indispensabili in chi veniva inviato all'università romana. Il tutto poi rafforzato da una ferma volontà e amore alla congregazione.

Una lettera scritta da Don Orione a don Parodi ci aiuta a penetrare meglio i suoi intenti e ciò a cui mirava con una tale iniziativa: inquadra con esattezza il clima nel quale Cavaliere trascorse questi suoi fondamentali anni di formazione sacerdotale e religiosa.

Scriveva dunque il Fondatore nel 1937: «Il mio pensiero non è affatto cambiato in questi anni, ed anche dalla lontana America, quando volevo confortarmi, pensavo al caro gruppo di chierici delle Sette Sale, siccome a quelli che avrebbero preparato alla nostra piccola Congregazione un avvenire grande nel Signore, molte consolazioni alla Chiesa e al Cuore di Dio». E, proseguendo nella lettera, dava delle direttive circa i criteri da seguire nella scelta dei giovani da inviare a Roma: «chierici che si mandano alle Sette Sale perché frequentino la Gregoriana, devono avere buona salute, particolare attitudine agli studi ed essere di ottimo spirito religioso (...); ed avere un buon carattere e più forte volontà, sia nella pratica della virtù e vita religiosa che nella applicazione allo studio. Quanto ad intelligenza, non devono essere dei semplici mediocri o sufficienti (...). Possibilmente devono essere di intelligenza superlativa (...). Non devono essere inviati alla Gregoriana né a studiare a Roma quei chierici i quali non avessero verace spirito di pietà, di umiltà, di fede, di dolcezza di cuore, di dipendenza e obbedienza, di purezza, di povertà, di fervore e orazione, di sacrificio, di carità superlativa». |2)

Ferdinando Cavaliere, pur non avendo ancora fatto il noviziato, fu ugualmente tra i prescelti che Don Orione inviò a Roma. Secondo il volere del Fondatore, emise prima, in forma privata, i voti religiosi e, sedicenne, iniziò la sua "avventura orionina".

Le frequenti visite del Padre Fondatore e il clima di intenso fervore che animava quel gruppo di chierici ebbero certo una influenza benefica sulla formazione umano-religiosa del giovane Ferdinando: la sua scelta di vita consacrata acquistò base sicura e profonda e lo "spirito orionino" penetrò con particolare efficacia nella sua vita.

Dal 1930 al 1933 frequentava gli studi filosofici, conseguendo al termine del triennio la licenza in filosofia. Si iscrisse quindi alla Teologia, svolgendo contemporaneamente l'ufficio di "assistente" a fianco di don Parodi. Nell'anno scolastico 1935-1936, sospendendo gli studi teologici, compì l'anno di noviziato a Villa Moffa (Bandito di Bra) emettendo, il 7 ottobre 1936, la sua prima professione religiosa. L'anno seguente lo trascorse a Tortona, come assistente e insegnante tra i chierici residenti al "Paterno". Ritornato nuovamente a Roma, completò gli studi teologici ottenendo nel 1939 la Licenza e nel 1940 il Dottorato in Teologia: brillantemente conseguì questo titolo accademico, difendendo la Tesi "Libello Gioachimita contro il Concilio Lateranense IV".

In quegli stessi anni la sua formazione religiosa e sacerdotale raggiungeva le mete che egli tanto aveva desiderato: il 21 dicembre del 1939 emetteva la Professione perpetua e il 21 aprile 1940 veniva ordinato sacerdote a Roma.

Scorrendo i pochi fogli che raccolgono le notizie del suo "curriculum vitae", colpisce un fatto: da chierico egli trascorse quasi tutte le estati, dal 1930 al 1940, presso l'Eremo orionino di Monte Soratte, sopra Sant'Oreste (Roma) dove vi erano alcuni eremiti. Puntualizzazione non secondaria questa, perché ci aiuta subito a comprendere come abbia potuto svilupparsi in lui quello spirito contemplativo che i confratelli vedevano così trasparente nella sua vita. Anche i vari incarichi di responsabilità che gli furono affidati in seguito rispecchiano costantemente questi due aspetti della sua formazione giovanile: cultura ampia e profonda, affiancata ed elevata dal desiderio-amore per le cose di Dio. Due caratteristiche che don Ferdinando sviluppò ulteriormente compenetrandole tra di loro, seguendo in questo le orme del Fondatore.

  2. Formatore fedele e dotto.

Dal 1940 al 1942 fu insegnante di filosofia e pedagogia alle scuole magistrali dell'Istituto San Giorgio a Novi Ligure; contemporaneamente insegnava scienze all'Istituto Filosofico e dogmatica presso l'Istituto Teologico della congregazione in Tortona.

Ancora giovane sacerdote, nel 1942 ebbe da Don Sterpi il delicato compito di dirigere l'Istituto Pastorale Mater Dei al Castello di Burio (Costigliole d'Asti), creato in quell'anno per favorire una più completa formazione dei sacerdoti novelli della Congregazione.

Nel 1945 passò a Villa Moffa di Bra come Maestro dei Novizi; tre anni dopo ritornò alla direzione dell'Istituto Pastorale a Costigliole d'Asti.

Dal 1949 al 1953 svolse il compito di Padre spirituale tra i chierici dell'Istituto Teologico a Tortona. Seguì poi lo speciale incarico di dirigere gli eremiti dell'Opera residenti sul Monte Soratte, e estendere per essi un nuovo regolamento che meglio ne garantisse l'interiorità di vita e lo spirito di ascesi penitenziale.

Avendo presente anche la storia dello sviluppo della congregazione fondata da Don Orione, scoprirono che Don Cavaliere si trovò a vivere in prima persona, e con incarichi di responsabilità, gli anni più delicati e difficili per la vita della giovane Famiglia religiosa.

Don Orione era morto nel 1940 lasciando a Don Sterpi, suo primo successore, una grande e pesante responsabilità: continuare sulla strada aperta da Fondatore senza sbandamenti e falsificazioni. E Don Sterpi seppe intelligentemente mantenere la Famiglia orionina sulla scia del Fondatore, chiamando a collaborare, nella formazione dei giovani che entravano in congregazione, quei confratelli che maggiormente davano garanzie per preparazioni culturale-religiosa e attaccamento all'Opera. Scelti soprattutto da quel gruppo già, in qualche modo preparato da Don Orione con l'iniziativa dell'Istituto in via Sette Sale di Roma.

Don Cavaliere fu appunto tra questi: abbiamo visto come, ancora novello sacerdote, ebbe da svolgere importanti e delicati uffici all'interno della sua congregazione. Egli ben si rendeva conto della responsabilità che si assumeva, senza per questo sottrarsi ad esse. Scriveva nel 1945 a Don Giuseppe Zambarbieri dal noviziato di Villa Moffa, dove da poco aveva iniziato la sua prima esperienza di Padre Maestro: «Ho bisogno dell'aiuto di tutti. Sento molto il peso della nuova responsabilità e mi fa quasi paura la fiducia che hanno in me i superiori».

Sono inoltre quelli i dolorosi anni della seconda guerra mondiale che faceva sentire anche sulle strutture e specialmente sui religiosi dell'Opera il peso della tragedia. Una testimonianza di don Quinto Tonini, sulla attività di Don Ferdinando in tali anni, sintetizza la paziente e illuminata opera da lui svolta specialmente tra i giovani religiosi: «Seppe ridar fiducia ai giovani chierici che arrivavano in Teologia dopo tre-quattro anni e più di tirocinio svolto durante i terribili anni della guerra. Ritornavano spaesati, tristi e titubanti per tutto quello che avevano visto, sofferto e vissuto in quelle drammatiche situazioni: solo la sicurezza di Don Cavaliere li salvò».

Nel 1957 si trasferisce a Roma con vari incarichi: prima come Padre spirituale presso le comunità orionine della città, poi come direttore dei chierici residenti al Divin Salvatore in via Sette Sale, infine come responsabile dell'anno di Pastorale al San Filippo.

Dal 1961 è nuovamente a Tortona tra i chierici studenti di teologia, oltre che come insegnante, anche quale loro Padre Spirituale e animatore della vita liturgica-spirituale.

La presenza e l'attività di sacerdoti come Don Ferdinando all'interno di queste comunità giovani li, dove si andava formando la seconda generazione della congregazione che non aveva conosciuto direttamente Don Orione, fu una vera benedizione. I giovani chierici che tanto sentivano parlare di Don Orione, del suo amore per il Papa, la Chiesa e i poveri, potevano anche continuamente confrontarsi con quei sacerdoti che avevano goduto della familiarità del Padre Fondatore.

E particolarmente Don Cavaliere è ricordato de molti suoi confratelli non solo per la capacità di trasmettere tanti insegnamenti e testimonianze ricevute, ma soprattutto per il vivo esempio che dava di "vita orionina".

In occasione del suo venticinquesimo di sacerdozio, festeggiato nel 1965 al Teologico di Tortona i suoi giovani confratelli e alunni vollero esprimere i loro pensieri e impressioni sulla figura del festeggiato componendo un opuscoletto. (3)

3) - II libretto, intitolato: 25° 1940-1965, era dedicato a Don Ferdinando e a Don Gino Bressan che, assieme, festeggiavano il loro 25° di sacerdozio.

   Per noi quelle pagine diventano oggi delle preziose testimonianze «Don Cavaliere in mezzo a noi diffonde la serenità e la perfetta gioia proveniente dal servire Iddio con slancio e generosità, dandosi cioè a Dio non forzatamente ma con amore. Ci porta quasi insensibilmente a gustare la grande bontà e il grande dono che il Signore ci ha fatto, chiamandoci a vivere da religiosi orionini».

Particolarmente incisivi appaiono alcuni parallelismi posti per meglio evidenziare quelle caratteristiche, proprie di Don Ferdinando, che tanto i confratelli apprezzavano: "Don Cavaliere e la Liturgia: — Dante che ti parla di Beatrice"; "I Tornisti e San Tommaso: — Don Cavaliere e la CHI". Ma specialmente un'immagine appare felice: "Don Cavaliere: una lampada nel buio di una chiesa".

L'interpretazione di quest'ultima frase acquista giusto valore accanto ad altri pensieri che ritroviamo nello stesso volumetto: "Don Cavaliere mi balza alla mente come una persona che preferisce parlare ed insegnare tacendo, passandoti accanto senza far rumore perché cammina... in ginocchio"; "Anima mistica, favorita anche dalla naturale timidezza, a chi lo osserva dall'esterno appare un temperamento essenzialmente sereno e pacifico".

Una presenza, dunque, la sua, ricercata soprattutto per la ricchezza che possedeva e sapeva comunicare.

3. Promotore del rinnovamento del Vaticano II.

Erano gli anni del rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II: Don Cavaliere scoprì ben presto nei documenti del Concilio una sorgente inesauribile di vita nuova. Spinto da un vivo desiderio di approfondire e impossessarsi sempre più della Verità, fece dei documenti conciliari il suo testo base sia per la scuola come per la vita spirituale. Divenne ben presto un conoscitore eccellente delle dottrine del Magistero conciliare e si preoccupò di favorire in ogni modo il rinnovamento all'interno della sua congregazione.

Se in un primo tempo la sua attenzione fu rivolta specialmente alla vita di preghiera, soprattutto liturgica (ne sono prova il "Repertorio del commentatore della Messa", il "Repertorio di Canti sacri", nonché vari libretti stampati e ciclostilati di "Pratiche di pietà" che egli compose per la congregazione), in un secondo momento tutto il suo lavoro si precisò sul tema della vita religiosa. Acquistò in questo campo una competenza unica: lo confermano varie opere scritte in questi anni, e il contributo che egli diede per il rinnovamento delle costituzioni dell'Istituto Orionino (sia maschile che femminile) che devono alla sua mano gran parte della prima stesura rinnovata (1968-1969).

Fu innanzi tutto tra i giovani religiosi che ebbe la possibilità di trasmettere e far vivere quel rinnovamento: nel 1969 venne infatti eletto Direttore dello stesso Istituto Teologico, nella sua nuova sede in Monte Mario, in Roma.

Del triennio speso nella conduzione del Teologico, possiamo avere più abbondanti notizie sfogliando il diario della casa. Si nota subito, dalle notizie sulle attività svolte dai chierici, il notevole clima d apertura formativa che Don Cavaliere intendeva dare alla comunità. Da sottolineare anche la sensibilità culturale e apostolica che egli voleva sviluppare nei giovani confratelli. Particolarmente intensa è in questo periodo la sua attività di predicatore, specialmente di Ritiri ed Esercizi spirituali in varie comunità religiose.

Nel 1972 si trasferisce al noviziato di Velletri essendo stato nominato Padre Maestro del novizi italiani e spagnoli. Fu certamente per lui un ritorno ad un apostolato più consono al suo spirito così sensibile al richiamo della contemplazione.

Non furono tuttavia neppure questi anni tranquilli perché anche qui Don Ferdinando sentì la necessità di impostare, in modo nuovo ed aggiornate alle indicazioni del Magistero e alle moderne esigenze dei giovani, l'anno di noviziato.

Preziosa a questo punto la testimonianza di don Netto, il confratello che affiancò Don Cavaliere in questa missione: «Educatore veramente eccezionale, per la sua preparazione a tale delicatissimo compito e per la sua singolare virtù. Sua preoccupazione principale era quella di infondere nell'animo dei suoi giovani (come diceva Don Orione) una profonda vena di interiorità che si estendesse, giorno per giorno, in quei tanti gesti di bontà, comprensione e gentilezza. Lo rivedo al noviziato vero modello di vita in tutto: scendeva tra i giovani, conducendo i lavori manuali; tra i primi nell'orazione, sempre soddisfatto e gioioso, nonostante tutto. Vibrava nella sua anima un amore di cielo che si rifletteva nelle persone che lo avvicinavano.

L'attitudine costante del suo animo era l'orazione che voleva alla base della vita spirituale dei suoi novizi».

Particolarmente intensa fu la sua attività svolta nel 1975 per l'attuazione del secondo Capitolo speciale dell'Opera di Don Orione. Ancora oggi ci rimangono molteplici studi che egli aveva preparato su vari problemi allora dibattuti all'interno della sua Famiglia: sulla povertà, sulla natura religiosa dell'attività caritativa, sull'abito religioso, sul carisma proprio, sul voto di fedeltà al Papa ecc. Contemporaneamente diede analogo sostegno alle Piccole Suore Missionarie della Carità che vivevano le stesse esigenze di rinnovamento nella fedeltà al Fondatore. Anche le loro costituzioni devono a Don Cavaliere gran parte dell'impostazione e della loro prima stesura. Era già da anni comunque che Don Ferdinando seguiva e sosteneva il ramo femminile della Famiglia orionina, prestandosi sempre più sovente alle necessità spirituali delle consorelle.

Dopo il Capitolo generale del 1975 esprimeva ai suoi superiori il desiderio di andare missionario in sud America. Ma la sua preziosa opera di "Maestro di spirito" era ancora molto necessaria nel campo formativo: si ritenne più utile alla congregazione e confacente alle sue qualità affidargli l'incarico di avviare l'organizzazione e programmazione del nuovo "Centro di Formazione permanente" che il capitolo generale aveva stabilito di iniziare. Contemporaneamente, risiedendo in Roma, poteva continuare la sua attività di insegnante e di Padre spirituale tra i chierici dell'Istituto teologico a Monte Mario di Roma.

4. Sulla cattedra della croce.

"Si direbbe che la croce sbarri il nostro orizzonte. Non è vero! Per essa si sale a Dio". È questa una delle frasi pregnanti che troviamo tra gli scritti di Don Ferdinando, e che acquista un valore "profetico" conoscendo i suoi ultimi mesi di vita.

Con la sua solita disponibilità egli si era messo al lavoro per rispondere alle aspettative dei superiori che si erano rivolti a lui per la nuova iniziativa che egli stesso aveva sollecitato nell'assemblea generale.

Ma i dolori addominali, che da qualche tempo l'avevano obbligato a rallentare l'attività e a continue cure mediche, agli inizi del 1976 si rivelarono improvvisamente nella loro gravita: carcinoma addominale.

Fu una prova non indifferente per un uomo come lui che aveva svolto fin da giovane un'attività incessante e senza soste, sempre in "prima linea". Ora si vedeva bloccato in un letto, incapace di fare da sé, bisognoso di ogni più piccolo servizio.

Più che il dolore fisico, fu questa forzata inefficienza che inizialmente lo tormentava. Scriveva in quei mesi a Don Zambarbieri: «Desidero riprendermi in pieno, per lavorare ancora per la congregazione. Però, quanto di umano può annidarsi anche in questa aspirazione al lavoro, al rendersi utile?». E, manifestando il suo stato d'animo nel vedersi ormai esonerato da ogni incarico, aggiungeva: «Sto lottando contro la tristezza nel vedermi ormai giudicato incapace e inutile. Sto lottando contro questo mio stato interno pensando a quello che - a parole! - dissi tante volte ad altri: il bene comune deve prevalere sul bene privato, ogni incarico è servizio non prestigio, ama nesciri et pro nihilo reputari".

Gli ultimi mesi della sua vita li possiamo ricostruire, con precisione di particolari e di sentimenti, per le testimonianze di alcune suore infermiere, dei sacerdoti e dei chierici che lo assistettero mentre era infermo.

Il 4 aprile 1976 Don Ferdinando fu ricoverato alla clinica "Villa Claudia" di Roma. Completati i vari esami, venne deciso l'intervento chirurgico. Fu un tentativo inutile che servì solo ad evitare momentaneamente conseguenze peggiori. Ai dolori precedenti si aggiunsero anche quelli causati dall'intervento chirurgico. Aumentando sempre più l'intensità del dolore e risultando ormai inefficace ogni tipo di analgesici, il 27 aprile venne deciso un intervento tendente ad eliminare alla radice la sensibilità nervosa al dolore.

Il deperimento dell'ammalato era ormai inarrestabile: gli venivano eseguite emotrasfusioni e terapie citostatiche.

Alla fine di maggio fu dimesso per un breve periodo di riposo che trascorse tra i suoi chierici del teologico. Ma il 12 giugno dovette nuovamente essere ricoverato: non riusciva più a nutrirsi, se non di liquidi; qualunque minimo movimento lo affaticava. Furono riprese le terapie tendenti a prolungare quella preziosa vita.

Risultando alla fine impossibile e inutile ogni altro tentativo di intervento, il 5 luglio fu dimesso. Ritornato all'Istituto teologico, concluse il suo calvario il 21 luglio dello stesso anno 1976.

A distanza di alcuni anni, suor Teresa Eletta Butino, delle "Minime del Sacro Cuore", che lo curò in quei mesi, così lo ricorda: «Sereno e aperto, ma molto riservato in tutto il suo esprimersi, parlava; poco, solo se interrogato e se gli capitava l'occasione di poter esercitare il suo ministero sacerdotale con la parola: allora lo faceva con entusiasmo e calore sorprendente. Parlando di Dio si entusiasmava subito. Suo tema preferito era la bontà del Padre che desidera solo il bene dei figli».

Le suore infermiere della clinica ricordano ancora con commozione il suo grande desiderio di vivere, di guarire, e il suo continuo invito a pregare con fede, con quella fede che compie miracoli.

Don Ferdinando vedeva soprattutto nella "poca fede" l'ostacolo maggiore alla sua guarigione: «voleva che unissimo la nostra alla sua preghiera riferisce ancora suor Teresa -, per chiedere la sua guarigione e si raccomandava lo facessimo con fede. Ormai però tutto faceva pensare che la preghiera non era stata esaudita, almeno per quanto da lui e da noi veniva direttamente richiesto. Fu allora che vicino a lui, ebbi l'impressione di trovarmi dinanzi a un duplice atteggiamento: l'umano e il divino; noi però divisi, tanto meno in contrasto tra di loro. Ma sembrò di vedere l'umano come deluso nelle sue più profonde aspirazioni, ma al tempo stesso potei notare che Don Ferdinando non ebbe mai una parola di scoraggiamento; si limitava a tacere, continuava a pregare e a far pregare. Di fatto il Padre lo aveva esaudito, concedendogli non la guarigione, ma l'altra grazia che egli aveva chiesto in tutta la sua vita di religioso: il dono di uniformarsi a Cristo.

E come Cristo, anche Don Ferdinando seppe mantenersi in totale dipendenza al progetto del Padre: lo dimostra quanto in quei giorni (3-5-1976) scrisse nel retro di una cartolina illustrata con la foto della Pietà di Michelangelo: "II dolore è un mistero troppo alto per la mente umana, ma è solo nel dolore che lo Spirito Santo ci fonde, ci trasforma in Cristo e ci introduce nel seno del Padre"».

Don Antonio Rizzo che, quale chierico infermiere, fu in quei mesi particolarmente vicino a Don Ferdinando anche nei più umili servizi, parla di quella indimenticabile esperienza come di un momento di particolare grazia per la sua vita religiosa: « Non avevo mai conosciuto Don Ferdinando nella vita di tutti i giorni. Avevo una stima acquisita, per sentito dire. Al Teologico di Roma ho avuto modo però di conoscerlo non solo come Padre spirituale, ma in maniera singolare, in una intimità unica, prestandogli il mio aiuto di infermiere.

Sono stato a lui vicino nei momenti più travagliati, quando la malattia implacabile aveva preso il sopravvento.

Un'esperienza unica: il dolore del mio confratello era il mio. L'assistenza mi legava sempre più a un servizio umile, a una intimità spirituale. Mi impressionava come un uomo di provata virtù, come Don Ferdinando, docente di morale, fosse soggetto ad irrequietezza spirituale, sempre protesa ad una ricerca continua della verità.

La fede era il soggetto e l'oggetto primo. Di fronte alla morte imminente e certa, o ci si attacca al Signore della vita o si perde ogni cosa. Quella poca fede che egli diceva di avere, si trasformava in uni continua lode al Signore, pure nella stanchezza mortale. Ciò mi impressionava ancora di più. Gli piaceva moltissimo, stando a letto, pregare insieme coi il - Gloria a Dio nell'alto dei cicli e pace in terra agli uomini di buona volontà; - e, con tono più forte - noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del ciclo, Dio Padre onnipotente -. A volte, pregando, mi stringeva il braccio con tutte le sue forze.

Il suo assillo, che mi sembra il suo pensiero dominante, si esprimeva spesso con un versetto di San Tommaso: - Fac me tibi semper magis credere! -. Li vita religiosa di Don Ferdinando, credo, sia stata un continuo cammino di fede, nella speranza, manifestato nell'amore donato di sé. Infatti lui stesso diceva che - il vivere cristiano è entrare nel seno di Dio - e - il dolore non ha altra funzione che di farci capaci di una gioia superiore e più grande -».

Riferendo le condizioni di salute di Don Ferdinando, un chierico del Teologico scriveva, il 6 maggio 1976, a Don Zambarbieri: «Le sue condizioni permangono sempre molto gravi. Noi tutti siamo ammirati per il suo incredibile animo di fede e di rassegnazione alla volontà di Dio; è una predica vivente di vera fede e di religioso irraggiungibile nella via della perfezione, e per questo degno di esser » imitato».

La cameretta dell'ospedale, dove Don Ferdinando era assistito, divenne in tali mesi meta continua di visite da parte di confratelli, suore e amici. Erano tutte persone che avevano in precedenza goduto della sua parola calda e convincente, avevano partecipato delle sue ricchezze interiori. Andavano ora per incoraggiare e consolare, e ne uscivano, ancora una volta, maggiormente arricchite di fiducia gioiosa in Dio che è Padre.

Don Ferdinando godeva di quella fraterna vicinanza e compartecipazione. Scriveva a Don Zambarbieri il 20 aprile: «Mi commuove fino alle lacrime il fatto di vedermi ricordato da tanti confratelli. Per me questo è un ulteriore invito a spendermi tutto, una volta guarito, per la congregazione».

Ricordano le suore della clinica dove era stato ricoverato: «Si abbandonò con semplicità, fiducia e riconoscenza a tutti i servizi che gli venivano fatti. Fu assistito amorevolmente dai chierici suoi alunni, che si alternavano giorno e notte; ed era felice quando pregavano e studiavano vicino a lui. Molti amici venivano a trovarlo: la preghiera lo sollevava e confortava molto, mentre i discorsi inutili lo stancavano facilmente».

Don Ignazio Terzi, direttore generale dell'Opera, nell'omelia funebre, rievocando gli ultimi giorni di vita di Don Ferdinando, offriva ai numerosi sacerdoti e fedeli presenti alla celebrazione questa testimonianza: «L'atmosfera che sentiamo davanti alla salma di Don Ferdinando Cavaliere, qui in questa chiesa a lui tanto cara, dove innumerevoli volte è salito all'altare, non è affatto diversa da quella della sua cameretta al Teologico prima, e a Villa Claudia dopo, quando lo si andava a trovare. Era allora ed è oggi un'atmosfera di chiesa. Si sentiva Dio presente in quella cameretta, come la si sente ora qui, in questo tempio. Atmosfera di preghiera spontanea, costante, continua: questo è il messaggio che ci lascia Don Cavaliere dopo una vita esemplare.(...) Don Cavaliere ci ha sempre invitati a pregare, non a compatirlo; a pregare, non ad incoraggiarlo. Ed è sintomatico che pur dilaniato da atroci dolori, travagliato da preoccupazioni, egli si sia fermato, con trasparenza di spirito, con unzione a quella bella preghiera del - Gloria: Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam! -

Egli più volte ha pronunciato queste parole, scandendole nello stesso tempo. Dimentico di sé, dei suoi problemi, delle sue sofferenze, egli ringraziava il Signore della sua grande gloria: contemplando la immensa gloria di Dio». (4)

       Don Antonio Rizzo che, come già riportato, rimase particolarmente impressionato da una tale e continua preghiera di lode che Don Ferdinando innalzava a Dio, rivive - egli stesso provato tremendamente dalla malattia che lo condurrà alla morte • quell'esperienza con queste parole: «In Don Ferdinando ho visto un uomo lodare Iddio nell'infermità e nel dolore.

Noi sappiamo che la lode più alta è quella che proviene dalla maggior umiliazione; Gesù ha fatto così. E Don Ferdinando sapeva di essere un "nulla" ma che poteva diventate un "Tutto", riconoscendosi tale. I suoi dolori e tribolazioni di ogni genere sostenute con fortezza d'animo, glorificavano Dio col più alto canto della sua anima, e... contagiava. Bisogna essere buoni di fronte a una simile meraviglie di Dio. Noi balbettiamo molte parole di bellezza, di gioia, di gloria a Dio, ma chi sa se arrivano a Lui; non hanno sicuramente la preziosità e la bellezza delle parole di dolore.

Bisogna essere attanagliati dal cancro, bisogna essere da sessanta giorni bisognosi di tutto, bisogna essere infermi fino alla consumazione di ogni cellula viva, tribolati fino allo sgomento come Don Ferdinando, per poter meglio lodare Iddio, e perché l'invito commuova veramente tutti i fratelli».

II. TESTIMONE E MAESTRO

Il periodico della Piccola Opera della Divina Provvidenza dava la notizia della morte di Don Cavaliere in un ampio articolo, con questo titolo: «Don Ferdinando Cavaliere: una lampada nel buio di una Chiesa, sacerdote sempre alla ricerca della perfezione religiosa, un maestro nella parola e negli scritti, aperto alle istanze della Chiesa». (5)

5) - I. Terzi, Don Ferdinando Cavaliere una lampada nel buio di una chiesa in: Don Orione 13, 1976, 9.

Sono espressioni che, nella loro sinteticità, ci fanno intravvedere i lineamenti più marcati della figura di questo sacerdote.

Non è difficile infatti enucleare dalla sua vita e attività alcuni aspetti caratteristici che lo resero tanto stimato e amato all'interno della congregazione e presso molte altre comunità ecclesiali in cui operò.

1. Amava studiare e insegnare.

L'avvicinare Don Cavaliere attraverso quanto ci ha lasciato scritto, lo sfogliare quelle innumerevoli cartelle contenenti una quantità incredibile di materiale letterario messo da lui insieme, riguardante i più svariati argomenti, suscita in un primo momento una certa perplessità.

Si va da argomenti di morale a quelli psicologici; da quelli di spiritualità a quelli di educazione civile; da meditazioni sulla vita divina a considerazioni sulla storia e sulla vita dell'universo; dai grandi temi sulla vita consacrata a quelli sulla vita fisico-materiale. Insomma la ricerca condotta da Don Cavaliere sembra uscire da quei limiti che comunemente segnano gli interessi del sacerdote e religioso.

Prendendo in esame solo i titoli dei suoi scritti e delle varie cartelle da lui composte, viene spontanea subito una domanda: «Che cosa lo spingeva a questo continuo lavoro di ricerca e approfondimento sui grandi problemi connessi con la vita dell'uomo, alla analisi dei vari "perché" suscitati dagli uomini, delle difficoltà e delle risposte racchiuse in ogni argomento?».

Penso che la molla che spinse Don Cavaliere a una ricerca così ampia e varia, sia da vedere oltre che nella sua naturale curiosità, specialmente nell'attività che fu chiamato a svolgere fin da giovane all'interno della sua congregazione.

Evidentemente l'insegnamento pluriennale di pedagogia, filosofia e soprattutto di dogmatica e morale, nonché i vari incarichi di educatore dei giovani religiosi e dei sacerdoti e la continua predicazione svilupparono in lui la sete di conoscere sempre di più, e gli avevano acceso il desiderio di essere aggiornato per "stare alla testa dei tempi"; come gli aveva appunto insegnato Don Orione.

Nell'esposizione di un argomento egli amava essere il più possibile lineare e semplice, senza per questo nulla togliere alla profondità dei concetti espressi. Cercava quindi di possedere nel modo più sicuro ed ampio quel determinato tema.

I suoi alunni al Teologico apprezzavano particolarmente le sue ore di lezione per il metodo che egli seguiva, per la chiarezza, schematicità e completezza di esposizione.

Coloro poi che ebbero la grazia di averlo come Padre e Maestro al noviziato (e qui parlo anche per esperienza diretta), ricordano come le sue conferenze-meditazioni sulla "vita religiosa" fossero le più desiderate per il clima di interesse e di partecipazione che Don Ferdinando riusciva a creare.

       Ora queste capacità, questa ricchezza intellettuale e spirituale che, nelle varie circostanze e luoghi, egli riusciva a comunicare, furono frutto specialmente di conquista, di uno studio quotidiano di ricerca.

Tutto ciò che riguardava l'uomo concreto, storico, nella globalità delle sue espressioni e manifestazioni, finì per rientrare nel campo del suo interesse: non per diventare oggetto di disquisizioni accademiche, ma per armonizzarlo e orientarlo a Cristo-Uomo perfetto, dandogli un valore e una meta: Dio.

Don Ignazio Terzi, nell'omelia funebre, ne tratteggiava così la figura: «Maestro nella parola, maestro negli scritti. Dottissimo ed aperto alle nuove istanze della Chiesa, alla comprensione dei problemi d'oggi, sempre però in perfetta ortodossia, nella fedeltà più profonda, totale e gioiosa al Papa e alla Gerarchia ecclesiastica (...).

Quanti hanno apprezzato la sua parola! quanto bene ha saputo seminare».

2. Un significativo riconoscimento.

D'altra parte il riconoscimento della "Lavagna d'oro", assegnata a Don Ferdinando dal Vicariato di Roma il 29 maggio 1973, penso riassuma, nel suo alto significato, il valore dell'opera svolta da Don Cavaliere a favore della Chiesa.

Il testo che comunicava alla direzione orionina l'assegnazione di tale riconoscimento è molto indicativo al riguardo. In quella occasione il cardinale Ugo Poletti scriveva al Vicario generale dell'Opera Don Orione: « Mi è gradito comunicarle che la commissione appositamente costituita in seno all'Ufficio dell'Educazione ha voluto assegnare la "Lavagna d'oro", per l'anno in corso, al Prof. Don Ferdinando Cavaliere, per i suoi meriti di educatore e di docente. Detto riconoscimento va inteso anche quale testimonianza di gratitudine verso tutta la benemerita Opera della Divina Provvidenza (Don Orione)».

Un riconoscimento quindi al singolo e anche a tutta la congregazione di Don Orione per l'opera svolta all'interno della Chiesa a servizio di tutto il popolo; o, più precisamente, un gesto pubblico di stima a tutta la congregazione orionina rappresentata in quella circostanza da uno dei suoi figli più meritevoli e preparati.

Il giudizio apparso su "Atti e Comunicazioni della Curia Generalizia" dell'Opera di Don Orione, dopo la sua morte, getta particolare luce sul benefico influsso che Don Ferdinando seppe esercitare all'interno della sua famiglia religiosa e anche, seppur più limitatamente, nella Chiesa, aiutandoci così meglio a comprendere il perché del riconoscimento del Vicariato di Roma: «La sua vita sacerdotale fu caratterizzata da zelante attività nel campo della formazione, della pastorale e degli studi, illuminata da profondo spirito di pietà e serietà di preparazione» (6)-

3. Educatore, soprattutto.

In queste poche righe sono state raccolte e messe in evidenza quelle qualità che maggiormente vennero apprezzate in Don Ferdinando dai suoi confratelli.

Della sua seria e accurata preparazione dottrinale-pastorale facilmente si può prendere atto confrontando, nella breve biografia, gli studi e gli uffici svolti di insegnamento che gli vennero continuamente affidati.

E ancora Don Terzi, nella sua omelia funebre, precisa i fini di tutto ciò: «Don Cavaliere era un maestro: è sempre stato un maestro. La Provvidenza gli è stata larga di doni per essere una guida spirituale. Professore al teologico, Maestro dei novizi, confessore e direttore spirituale di religiose, direttore di sacerdoti e di Eremiti. Ma con queste tutte sue doti non è mai stato lontano da noi, con lui non abbiamo mai sentito alcun distacco; non lo abbiamo mai sentito uomo di altra e diversa estrazione della nostra: egli era uno di noi con i nostri stessi problemi, con le stesse tare umane.

Con la sua grande volontà ci è sempre stato di guida. Sentiremo la sua mancanza come maestro, ma anche come portatore di una serenità luminosa, connaturata nella vita vissuta, nel soprannaturale reso naturale e familiare.

Ecco allora che emerge l'aspetto più verificabile dell'attività di Don Ferdinando: la sua preparazione culturale non era fine a se stessa, ma a favore di quanti la Provvidenza gli metteva accanto. Non fu solo il docente che insegna dalla cattedra, il predicatore che parla dal pulpito, ma anche l'educatore che accompagna e aiuta a camminare incontro a Cristo. Svolse questa sua missione di consigliere spirituale con particolare zelo durante la sua vita sacerdotale a favore di chierici, novizi, religiosi, suore ecc.

I sentimenti che i chierici dell'Istituto teologico gli manifestavano in occasione del 25° di sacerdozio arricchiscono la conoscenza che possiamo avere di questo sacerdote. Dicono: "Ho ammirato in Don Cavaliere la profonda vita interiore che si esterna chiaramente nel suo modo di agire, nella sua delicatezza davvero ammirevoli". "È pieno di zelo apostolico e avanzato nel campo liturgico e sociale. Possiede molta prudenza, cerca di far felici i confratelli per quello che può. Ha spirito di iniziativa, vuole utilizzare ogni cosa per il bene, e stare alla testa dei tempi". "Ne ammiro l'intraprendenza e l'abilità nel conglobare le energie di molti altri attorno alle sue buone iniziative. Smaltisce in breve tempo una gran mole di lavoro, con rapido colpo d'occhio, l'ordinato procedimento, la chiarezza di vedute".

"Egli è animato da un desiderio grande e sincero di giovare agli altri, la sua ansia costante è di rendersi il più atto possibile alla sua missione di sacerdote con la vita santa e una scienza adeguata. Il suo zelo pastorale lo porta a palpitare con la Chiesa, a prendere iniziative di bene verso i fratelli".

Pur tenendo nel debito conto che di un festeggiato non si può che parlar bene, è interessante notare come i chierici dì allora che vivevano accanto a Don Cavaliere apprezzassero di lui proprio gli aspetti che stiamo cercando di mettere in luce e che ben giustificano la "Lavagna d'oro"».

4. Amico di viaggio.

Anche le testimonianze di confratelli che hanno avuto in Don Ferdinando un "amico di viaggio evidenziano le stesse caratteristiche.

Padre Tonini, che conobbe Don Cavaliere ancora studente di teologia e lo ebbe in seguito come di rettore al Castello di Burio nell'anno di Pastorale < sempre quale Padre spirituale, ricorda Don Ferdinando con una riconoscenza particolare: «Durante la mia vita, tutti i passi più importanti e difficili li ho compiuti sempre sotto la sua direzione. Ancor; non me ne sono pentito. Incontrare Don Cavaliere era per me una gioia tanto grande che mi sembrava un sogno». E, ripensando ai suoi anni giovanili, presenta un aspetto di Don Cavaliere che lo ha sempre colpito: «Come sacerdote orionino fu sempre aperto alle nuove interpretazioni dei testi sacri, alle nuove forme di spiritualità, tenendosi tuttavia sempre fedele alle direttive della Chiesa. Ebbe in queste un'apertura superiore a tutti i suoi confratelli e coetanei. Alcune forme non potè realizzarle subito, proprio per gli ostacoli che gli venivano da confratelli ancora avvolti nelle antiche forme e ad esse troppe attaccati». Ammirò Don Ferdinando soprattutto quale "vero Maestro di spirito'. Aveva un'intuizione particolare nel veder chiaro nelle coscienze". E a. riguardo racconta questo episodio: «Il giorno delle mia ordinazione sacerdotale, mentre i miei compagni si avviavano alla chiesa, era il 29 giugno 1950 con un altro confratello entrai, già vestito col camice e la stola, nella stanza di Don Ferdinando. Al vederci non ci lasciò aprir bocca, ma col braccio tese e l'indice puntato verso la chiesa ci fece morir in bocca ogni parola e correre insieme agli altri. Aveva capito che era uno scrupolo dell'ultimo momento che non aveva motivo di esistere».

Un altro sacerdote che ebbe in Don Cavaliere la sua guida spirituale riassume in poche parole il suo ricordo: «Don Cavaliere: l'ho stimato e amato; ciò che c'è in me: entusiasmo per il mio sacerdozio e per le vocazioni, lo debbo esclusivamente a lui».

Don Giuseppe Zambarbieri, che fu direttore generale della congregazione durante l'ultima parte della vita di Don Ferdinando, lo ricorda con vivezza di particolari. Riconosce in Don Ferdinando la estesa cultura, "tra le maggiori in congregazione, e la sua pronta disponibilità alle varie richieste e uffici. Parlando del grande lavoro svolto da Don Cavaliere nei Capitoli provinciali e generali del 1969 e del 1975, sottolinea come nell'ultimo Capitolo generale (1981) è stata sentita la sua assenza, infatti, «il suo intuito e intelligenza, accompagnate dalla notevole preparazione sui temi della vita religiosa, erano stati un continuo punto di riferimento nei precedenti Capitoli: la sua presenza nelle commissioni preparatorie era ricercata, i suoi interventi nelle assemblee erano tenuti in grande considerazione».

«Aveva una grande capacità di ascolto - ricorda ancora Don Zambarbieri -, che proveniva dal rispetto quasi sacro che egli nutriva verso l'altro. Una tale signorilità di comportamento scaturiva dall'onestà di ricerca che lo animava, dal desiderio di non imporsi se non con la verità».

Era questo il suo abituale atteggiamento, non solo nel campo della ricerca dottrinale ma anche nel modo di avvicinare le anime che a lui si rivolgevano.

Così lo rivede Don Netto, suo collaboratore al noviziato di Velletri: «Si poneva davanti al giovane per condurlo alla meta rispettando al massimo quella personalità in formazione, e lo aiutava ad aprirsi indicando la via della grazia».

5. Pur di servire.

Anche in alcune sue lettere, troviamo più volte sottolineato questo suo desiderio di poter in qual che modo servire gli altri.

Scrivendo nel 1951 a Don Zambarbieri per proporgli la pubblicazione di un libretto di preghiere concludeva con questa frase molto significativa del suo modo di offrire un servizio agli altri: «Come vorrei che agiste liberamente! Cestinate anche tutto piuttosto che mettere nelle mani dei confratelli cose poco serie».

A distanza di anni ritroviamo lo stesso pensiero nella lettera che egli scrisse, sempre a Don Zambarbieri, nel 1975, suggerendo la pubblicazione di un suo articolo sulla vita comunitaria: «Ritiene che questa mia nota sulla genesi della vita comunitarie, possa giovare ai confratelli? Nell'ipotesi positiva, questa nota potrebbe essere ospitata negli Atti (ma in fondo, nell'ultima pagina, con caratteri piccoli)? (...). Si ricordi però che, come sempre, lei ha nei miei confronti piena libertà di non accettare la proposta, senza farsi troppi problemi: lei conosce meglio di me ciò che giova e non giova alla congregazione. Quindi non si faccia scrupolo di cestinare la nota, se non le pare utile pubblicarla».

Una lettera, scritta nel maggio del 1976 dalle suore Clarisse del monastero di Santa Chiara (San Severino Marche) ad un confratello di Don Cavaliere, testimonia la stima e la riconoscenza che queste suore, al pari di tante altre anime, nutrivano verso Don Ferdinando: «Continuamente preghiamo affinché il Signore voglia, nella sua infinita misericordia, lasciarlo ancora lunghi anni a lavorare per la sua gloria e a bene di tante anime e soprattutto della cara congregazione orionina della quale è fulgido esempio di ogni virtù e validissimo aiuto. È un'anima tanto bella di intensa vita interiore per cui le sue parole e i suoi scritti incidono fortemente nelle anime nostre».

Le testimonianze raccolte fanno emergere lo spirito che guidava Don Ferdinando nel meraviglioso campo della vita cristiana: il desiderio di un uomo che voleva incontrare Dio camminando con i fratelli. Il suo parlare da "maestro" non era avulso dalle realtà umane, ma, lasciandosi da queste continuamente interrogare, era un'instancabile ricerca di quelle verità che potessero aiutare i compagni di viaggio a camminare con maggior sicurezza.

Anche un episodio che accadde nella clinica dove era ricoverato, letto in questa luce, acquista un commovente valore. Le suore infermiere ricordano con ammirazione ciò che Don Cavaliere fece quando venne a sapere della gravita mortale della sua malattia: «Si preoccupò subito di esortare noi a non dire mai al malato la gravita della sua situazione, se non in casi particolari, per non fargli perdere la speranza della guarigione e correre così il pericolo di gettarlo nella disperazione. Addirittura fece scrivere a un suo chierico delle direttive pratiche su questo problema; suggerimenti che noi teniamo molto cari».

Don Ferdinando che per tanti anni aveva insegnato la morale, e che tra i tanti problemi aveva certo anche affrontato questo sulla "verità ai malati" (come risulta da alcune sue cartelle), nel momento in cui si trova direttamente coinvolto nel dolore e vicino alla morte pensa ancora a chi può venirsi a trovare nella stessa drammatica situazione e si preoccupa di lasciare, accanto ai principi e norme tante volte insegnati dalla cattedra scolastica, la sua esperienza vissuta nel letto del dolore.

Comunicando la notizia della sua morte, sopra; giunta il 21 luglio 1976, il Direttore generale della congregazione riassumeva in poche parole quelle linee caratteristiche che abbiamo cercato di evidenziare: «La congregazione tutta non può non inchinarsi riconoscente ed edificata davanti alla rara figura di questo santo e dottissimo sacerdote che ha speso l'intera vita nel delicato campo della formazione spirituale e dottrinale dei confratelli chierici, eremiti e sacerdoti novelli. Gli ultimi suoi giorni hanno davvero coronato e suggellato una vita di intensa pietà. In continua orazione, in lieta e fiduciosa attesa dei voleri divini, si può dire che Don Cavaliere è stato fin all'ultimo respiro un grande indimenticabile maestro».(7)

7) - Atti e Comunicazioni della Curia Generalizia 2, 1976, 67.

 

Sacerdote buono – sacerdote dotto

Noi religiosi godiamo fama di essere anime liete. Questa nostra gioia è una testimonianza, è apostolato.

Non si può immaginare ciò che farebbe di noi il Signore, se ci abbandonassimo con fede e amore alla sua volontà. Ogni istante della mia vita è una volontà di Dio. Tutto il mio lavoro dev'essere "un fare istante per istante quello che Dio mi domanda". Come al garzone l'artista: dammi una pieruzza bianca, rossa. Vivere cristiano è entrare nel seno di Dio.

Il dolore non ha altra funzione che farci capaci di una gioia superiore e più grande.

Si direbbe che la croce sbarri il nostro orizzonte. Non è vero! Per essa si sale a Dio.

(Dai suoi scritti)