Figli della Divina Provvidenza (FDP)

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ordine alfabetico per Cognome

 

 Necrologio Figli della Divina Provvidenza (ricordati nel giorno anniversario)  

 

                  P (95)

1.      Pace Antonio

2.      Pachielat Gioachino

3.      Pagella Teresio

4.      Pagliaro Antonio

5.      Paliasso Pierluigi

6.      Palmas Salvatore

7.      Panara Guglielmo

8.      Pancheri Attilio

9.      Pandiani Giuseppe

10.  Pangrazi Luigi

11.  Pankiewicz Dominik

12.  Pannori Mario

13.  Pantezzi Zenone

14.  Paragnin Narciso Giuseppe

15.  Paris Luigi

16.  Parodi Natale

17.  Parodi Pietro

18.  Parodi Silvio

19.  Parola Pietro

20.  Pascotto Antonio

21.  Pasinato Angelo

22.  Pasinato Gino

23.  Pasquali Elvino

24.  Pasquinelli Genefrido

25.  Passera Franco

26.  Patricola Ignazio

27.  Pattarello Giovanni Valdastico

28.  Pavesi Ambrogio

29.  Pawlik Waclaw

30.  Pedrini Cesare

31.  Pedron Adolfo

32.  Pedzik Wadyslaw

33.  Pelizza Giulio

34.  Pelizza Guerrino

35.  Pellacini Luigi Dante

36.  Pellanda Antonio

37.  Pellanda Pietro

38.  Pellizzari Angelo Salvatore

39.  Pellizzer Sebastiano

40.  Penalver Timoteo

41.  Penas Gioacchino

42.  Pensa Carlo

43.  Perciballi Arcangelo

44.  Perduca Arturo

45.  Pereira Dos Santos Luiz A.

46.  Perlo Clemente

47.  Perlo Pietro

48.  Peron Giuseppe

49.  Pesce Maineri Luciano

50.  Petrelli Giuseppe Guerrino

51.  Petruccelli Antonio

52.  Pezzarini Oscar Alcides

53.  Piacente Ottavio

54.  Piazza Giovanni Battista

55.  Picca Francesco

56.  Piccardo Attilio

57.  Piccardo Luigi

58.  Piccinetti Alceo

59.  Piccini Bruno

60.  Piccinini Gaetano

61.  Piccinini Rodolfo

62.  Piccioni Salvatore

63.  Piccoli Luigi

64.  Pieri Antonio

65.  Pietrarelli Ezio

66.  Pietruszka Stanislaw

67.  Pilatowicz Kazimierz

68.  Pilotto Antonio

69.  Pintado Olgis

70.  Pirani Giovanni

71.  Pirazzini Antonio

72.  Pisano Cesare (Frate Ave Maria)

73.  Pitto Francesco

74.  Pizzato Domenico

75.  Pizzelli Giovanni

76.  Plutino Sebastiano

77.  Pokladek Kazimierz

78.  Poletti Pasquale

79.  Poli Genesio

80.  Pollarolo Giuseppe

81.  Pompermayer Alberto

82.  Ponzano Mario

83.  Porcile Gugliemo

84.  Porfiri Giovanni

85.  Porro Giovanni

86.  Porta Gabriele

87.  Pose Alberto

88.  Prochot Josef

89.  Prochot Stanislao

90.  Prosia Francesco

91.  Prosperi Porta Salvatore

92.  Pszczolka Josef

93.  Punta Giuseppe

94.  Puppin Carlo Luigi

95.  Putorti Carmelo

 

 

 

 

 

 

Pavesi Ambrogio 3.jpg

su “Don Orione oggi” n 11 dicembre 2003

Fr. AMBROGIO  PAVESI

da Truccazzano (Milano), passato al Signore il 2 novembre 1997, a Sassello (Savona), a 85 anni di età e 57 di Professione religiosa..

            Un esemplare modello di Fratello, secondo figlio di una famiglia di contadini numerosa e povera venuto all’Opera, avendo udito parlare di Don Orione che diceva: “La vita religiosa è vita di rinnegamento e di sacrificio. Due parole sole, ma da questo ho capito - confidava spesso -  che Don Orione non era un prete come gli altri.”. Su queste parole, bisogna dire, egli programmò la propria vita, intessuta di semplicità, di abnegazione, di amore a Dio, ai Confratelli, a quanti incontrò sui passi della sua obbedienza, poveri, bisognosi, sofferenti.

Vincendo  una comprensibile opposizione - per motivi di bisogno -  dei suoi familiari, lasciò la sua casa un po’ avventurosamente, a piedi, senza documenti e neanche 10 centesimi, e pellegrinò da Cornegliano di Truccazzano fino a Tortona: aveva 19 anni, essendo nato il giorno dell’Immacolata (8 dicembre) 1912. Alla Casa madre dell’Opera giunse e venne accolto la sera dell’ultimo dell’anno (31 dicembre) da Don Sterpi, che lo rifocilla e lo alloggia. Quando poi lo raggiunge suo padre, per indurlo a tornare in famiglia, fortunatamente è in casa Don Orione, che tutto appiana.

Dal primo all’ultimo giorno il tenore della vita di Ambrogio conosce soltanto osservanza dedizione, lavoro, preghiera, in Tortona, Genova-Salita Angeli, Castagna, Quezzi, Paverano. Per questo - dopo aver ricevuto l’abito talare dallo stesso Don Orione il 29 agosto 1933, nella festa dell’Assunta 1939 viene ammesso al noviziato di regola a Villa Moffa, dove l’anno dopo, nella stessa data, pronuncia i suoi primi voti e viene destinato al Paverano in Genova quale assistente dei religiosi e sacerdoti infermi. Genova diventa la sua città di adozione.  L’8 dicembre 1947 ha la consolazione di pronunciare i suoi voti perpetui nella Villa Solari/Ge e il 6giugno 1992, a Sassello, si lega col IV Voto di fedeltà al Papa.

Le sue sante aspirazioni come Figlio della Divina Provvidenza e della Chiesa di Cristo, erano così compiute. Il suo cuore era pago e grato al Signore che lo aveva chiamato a darsi tutto a Gesù e ai fratelli. A questi, con tenerezza e rispetto, con semplicità e candore, offrì il meglio dei suoi sentimenti e delle sue energie. Uomo “tuttofare”, non distinse una obbedienza dall’altra. Ebbe soltanto una mistica orionina: “darsi tutto a tutti”, sempre servizievole, senza preoccuparsi di sé.

Per dieci lustri, senza studi o pretese, si donò a tutti, lieto di adempiere in sé, senza filosofismi o vani misticismi, il precetto divino della carità pratica, sacrificata, amorosa. Di lui, lo stesso Don Orione, ai familiari di Pavesi che gli baciavano le mani, si ricorda che aveva detto:

“Dovete inginocchiarvi davanti ad Ambrogio, non davanti a me.”

Aveva compreso, il nostro Beato Fondatore, l’umile grandezza di questo indotto, ma degno suo figlio, innamorato della Parola di Dio e dell’Eucaristia, felice solo di avere il privilegio di servire i poveri.

Ambrogio ha chiuso i suoi 66 anni di servizio di Dio e dell’Opera, nella casa di Sassello, in silenzio e preghiera.

 

FRATEL  AMBROGIO  PAVESI

due parole di presentazione di don Aldo Viti

 

Uno dei rami più significativi della nostra Famiglia religiosa è indubbiamente quello dei Religiosi Fratelli, tanto cari a don Orione e a don Sterpi che ne sottolineavano gli aspetti carismatici caratteristici: la preghiera, l’umiltà, la fedeltà, la santa fatica al servizio dei poveri.

Scriveva don Pensa, Direttore Generale, secondo successore di don Orione, nel 1947:” Tutti sappiamo come stesse a cuore a don Sterpi, oltrechè la formazione dei sacerdoti, quella dei coadiutori. Quei pochi che abbiamo si sono formati al suo fianco. Per essi vagheggiava, il Padre amatissimo,dopo l’attuazione del Filosofico,  del Teologico e della casa Mater Dei, speciali case per la loro formazione. La guerra, più che la malattia, non glielo ha concesso. Orbene, a testimoniargli i nostri sentimenti di figli, ci proponiamo di fare, per il suo 50.mo di Messa, qualcosa che riesca quasi a compimento delle sue fatiche e dei suoi paterni desideri. Legheremo pertanto, con l’aiuto di Dio, questo prossimo evento, così dolce per le nostre anime, alla sistemazione del probandato di Montebello, che sarà casa di formazione per i coadiutori, così necessari al buon ordine delle nostre opere: casa di formazione religiosa e professionale, con le convenienti attrezzature di laboratorio”.

In Italia, negli anni di fondazione e fino agli anni 50 ci fu una notevole fioritura di vocazioni.

Da alcuni decenni però, al pari e più di quanto succede per le vocazioni sacerdotali, c’è stata in Italia una dolorosa contrazione.

Al contrario, nelle terre considerate un tempo terre di missione, si nota una notevole presenza di questa vocazione che trovò in San Francesca d’Assisi, Fratello non Sacerdote, l’espressione più alta.

Molte  sono le figure di santi nostri Fratelli ed anche Eremiti  che ci hanno lasciato per il cielo, lasciandoci anche esempi di eccezionale fedeltà e generosità in una vita religiosa esemplare.

Pensiamo a Fratel Serra Giuseppe, a Fratel Carminati Luigi che hanno lasciato una pagina di storia scritta col sangue.

 Fratel Serra Giuseppe, morto tragicamente nel Goias in Brasile a pochi mesi dell’inizio della nostra missione, nel 1952. E’ annegato nel grande fiume Tocantis, il 25 gennaio 1952 all’età di 29 anni e 5 di professione. Fa parte del primo nucleo dei missionari che partì offrendosi volontario nella Missione del Goias, Brasile, affidataci dal Papa Pio XII, con la pienissima disponibilità di don Carlo Pensa, secondo successore di don Orione. Trovò la morte insieme a don Egidio Adobati, giovane sacerdote di 35 anni, mentre tornavano da una prima esplorazione missionaria.

Fratel Luigi Carminati è morto a causa di un mitragliamento aereo il 25 aprile 1945.

Aveva 32 anni ed era religioso con voti da 5 anni.

Stava trasportando con un motocarro pane, riso e farina a poveri del Piccolo Cottolengo di Genova, messi al sicuro dai bombardamenti in una casa di campagna  del tortonese dalla premura del Direttore Generale don Carlo Sterpi. Ma il caro Fratel Carminati non sfuggì a un mitragliamento aereo  che lo fece cadere sul suo proprio sangue.

Ci sembra che la figura di Fratel Pavesi Ambrogio, morto santamente a Sassello (Savona) nel 1997, all’età di 84 anni, di cui 57 di professione religiosa, sia particolarmente significativa e meriti di essere portata a conoscenza di quanti non ebbero la sorte di conoscerlo e soprattutto dei giovani Fratelli in cammino vocazionale.

Ecco il perché di questa breve biografia, scritta da un confratello che ebbe la fortuna di vivergli accanto, negli ultimi sette anni della sua vita terrena e che fu presente in occasione della sua santa morte.

Più che una biografia è una raccolta di testimonianze, discordanti a volte su qualche particolare, spesso ripetitive da sembrare contraddittorie,ma che riconducono tutte ad una conclusione univoca: fratel Pavesi è un santo della nostra famiglia, un grande esempio di povertà, umiltà, serizio dei poveri, spirito di preghiera, anche se  nessunio penserà a inpiantargli “ una causa” in modis et formis.

Don Orione accolga e benedica questa pagine aneddotiche e Fratel Pavesi, dal cielo ne impetri l’efficacia. Il contagio.

Don Aldo Viti

 

 

“…si fa tanto per dire qualcosa”

 

La vita di fratel Ambrogio Pavesi semplice, lunga, nascosta da vero Figlio della Divina Provvidenza, è apparentemente insignificante : non era un prete, non fece studi particolari all’infuori delle scuole elementari, non un tecnico qualificato.

Come Giovanni che rispondeva: io sono una voce;si presentava come “uno del Cottolengo”, quando era obbligato a rispondere chi era. 

Si sa, tra noi, cosa contiene questa espressione.

Per averlo nella sala della mensa dei religiosi si fece fatica.

Lui preferiva mangiare alla tavola dei laici, un gruppetto di ospiti, ricoverati al Paverano, che lavoravano come volontari in servizi semplici: trasporto della spazzatura, commissioni all’ospedale, aiuto cucina, aiuto portineria, l’emergenza di scaricare casse di derrate, qualche mobile vecchio o vestiti regalati al Cottolengo.

Là, a tavola si trovava bene con i suoi compagni e animava la conversazione.

Non ebbe - a quanto risulta - compiti specifici: riparava un rubinetto, sgorgava gli scarichi dei pozzi neri, riparava un guasto elettrico, tagliava i capelli, andava col camionista a caricare “roba di provvidenza”.

Tutto il tempo che gli restava libero lo passava a servire gli ammalati più gravi, a imboccare le “bambine”, alle quali portava sempre un frutto, una caramella, un formaggino, una marmellatina. Lo aspettavano e lui era puntuale.

Disponibile sempre.

Su questo breve canovaccio si intessono una serie di testimonianze che possono apparire- e lo sono- certamente ripetitive.

Ma il ripresentarle da diverse angolazioni e con diverse testimonianze si ritiene non inutile.

Il lungo viaggio verso la sua Gerusalemme

 

E’ una storia che faceva l’oggetto di curiosità, di interviste, di cose antiche  sempre le stesse e sulle quali il buon Ambrogio era  il primo a sorrirdere di gusto.

La storia del suo cammino per arrivare dal paese natale, Cornegliano Bertario, comune di Truccazzano, a 25 Km. da Milano, passando per Milano, Pavia, Voghera ha dell’incredibile, del romanzesco.

Fece un centinaio di Km. a piedi, un viaggio di quasi due settimane, un  viaggio del pellegrino che cercava di consacrarsi a Dio presso un “prete che non era come gli altri”. Don Orione, per la precisione.

Un pellegrino senza bagaglio, senza soldi, senza un documento d’identità: un giornale teneva la sua maglia, le mutande, il libretto di Sant’Alfonso “apparecchio alla morte”.

 E via, accettando la carità di qualcuno e dormendo nei fienili vestito com’era.

Cerca aiuto da un poveraccio che lo fa passare come un suo parente ove occorreva un documento che lui non aveva, chiede informazione alla stazione dei carabinieri che lo invitano cercare alloggio in un locale del carcere di Milano.

È tutto un romanzo quel suo viaggio fino a Tortona, ove  trova don Sterpi che lo aiuta, ma che però, per prudenza, lo fa aspettare fuori della comunità in attesa di documenti.

Un’attesa che durò circa un mese, fino cioè all’arrivo del padre che era venuto a riprenderselo..

Sant’Alessio? San Benedetto Labre?

Aveva il suo bastone e il suo rosario come aiuto e compagnia.

Il bello e che prende a gioco, ci ride di gusto per quel che gli capita.

Ma è tutt’altro che scemo o psichicamente messo male. Sapeva quello che voleva.

Anche per questo gli deve essere riuscita bene la fine del lungo viaggio della vita, quando si presentò al suo “Signor Direttore” (don Orione) in paradiso cantando “ quando busserò…avrò fatta tanta strada”.

Arrivò in cielo vecchio dopo un’ora di Adorazione, a 84 anni, mezzo sdentato, con uno spago che gli fermava alla vita un paio di calzoni di provvidenza.

 Perché mai volle roba nuova.

Certamente col passare degli anni aveva seguito la sorte dell’età: passo incerto, mani che non stringono più gli attrezzi del mestiere.

E’ l’epoca dei tanti rosari, delle lunghe ore di sosta in cappella: in atteggiamento di adoratore. E’ l’epoca della carità delicata verso i poveri, le giovani handicappate del Cottolengo che stanno peggio di lui. Una carità disadorna, fatta di piccoli gesti, teneri e frequenti : va ad imboccare all’ora dei pasti, allunga qualche caramella, un formaggino, un pezzo di torta o un amaretto di Sassello. Per fare una carezza e asciugare il sudore non è necessario aver studiato o essere giovani. L’amore non conosce le stagioni della vita.

E in casa è ancora attento a spegnere le luci quando tutti se ne vanno o hanno dimenticato accesa la lampadina nel bagno.

E’ ancora capace di continuare a raccogliere i pezzetti di pane lasciato sul tavolo o diventati duri. Li ammorbidisce nel brodo e mangia. E’ ancora povero.

Senza dire che il solo incontrarlo, il solo raccoglierne un sorriso dà pace e serenità.

Quando si chiede alla Chiesa di far santo uno, la Chiesa ci va piano e dà un dossier da riempire per bene, in ogni sua parte e sotto giuramento, giurato da chi ha il senso del giuramento: l’eroicità delle virtù più significative sul piano morale e sul livello superiore teologico, come la Carità, ma anche la Povertà, l’Obbedienza, la Fedeltà ai Poveri, la trasparenza de La Bella Virtù (come diceva don Orione).

Chiedete a bruciapelo a chiunque abbia conosciuto Pavesi se può dire e testimoniare in grado eroico quanto la Santa Chiesa domanda per chi chiede la Gloria degli altari.

Un coro di si, sicuri, senza pensarci.

Il Vescovo di Massa Marittima, Mons. Comastri predicò un corso di esercizi spirituali a Sassello nel giugno 1992. Sei giorni di vita insieme agli esercitandi, tra cui Fratel Pavesi, che aveva  allora 79 anni.

Vide, ebbe “un lungo colloquio” con l’umile religioso e percepì subito , come poi scrisse, le sue grandi virtù, la santità di questo fratello.

Saputo della  morte di Pavesi scrisse una bella letterina che conclude dicendolo degno della gloria  e concludendo: “ Io lo prego già”

Cosa si vuol dire nelle pagine seguenti ?

Entrare nella vita ,comprendere la personalità ed anche la santità di questo Fratello da imitare e, come dice Mons. Comastri, da pregare.

 

“…È davanti ad Ambrogio che dovete inginocchiarvi"

Suo fratello Francesco testimonia : " Mio padre restò in buoni rapporti con don Orione e ogni tanto lo andava a trovare. Una delle ultime volte che lo incontrò, un anno o due prima che don Orione morisse, mio padre, come al solito si inginocchiò davanti a lui che riteneva un vero santo.

Don Orione però gli disse : alzatevi, alzatevi : è davanti ad Ambrogio che dovete inginocchiarvi" Continua Francesco: "Nostro padre ci avrà raccontato cento volte questo fatto ".

Al suo arrivo la prima volta  a Tortona, al termine di una sua tribolata e curiosa peripezia, sappiamo che don Sperpi, sempre prudente e questa volta un po’ diffidente di un tizio malvestito e naif e senza alcun documento di identità che dice di volersi fare seguace di don Orione, invita il nostro Ambrogio a fare un po’ di quarantena da  un contadino della collina tortonese, certo Pasquale Barbieri, sopra il cimitero di Tortona, accanto all’antico castello medievale.

Ambrogio per tutto il resto della vita sarà grato a questa famiglia accogliente che lo faceva dormire nel fienile e gli dava un pasto caldo in cambio di lavoro.

 Per circa un mese.

Ogni anno in seguito cercò di farle visita.

Incontrato don Orione all’età di venti anni, diventato aspirante con le carte in regola, don Sterpi lo manda a Genova ove erano sorte alcune case di carità a Salita Angeli, Quezzi, Castagna, Santa Caterina di Via Bosco, fino all’apertura del Paverano il 30 novembre 1933.

Una delle più belle pagine scritte da Ambrogio in questi primi anni di vita nella famiglia orionina è proprio l’indirizzo  di questa casa di via Bosco, diretta da una suora speciale, un personaggio interessante per la sua semplicità, devozione a don Orione, anche se incolta : suor Maria Stanislaa.

Qui il giovane Ambrogio Pavesi viene inserito come commissioniere, facchino tuttofare della carità, questuante per i  poveri, «  guardiano » occasionale del riposo di don orione il giovedì.

Una questua curiosa era quella delle 5 del mattino : con un semplice cariolino cui teneva legata una damigianetta, faceva il giro dei bar della zona centrale di Genova e  ritirava i fondi del caffè , conservastigli dai baristi : mescolando tutto con succo di cicoria diventava roba buona per preparare il caffelatte a tutte le ospiti del cottolengo.

Tante volte raccontò con piacere il suo ufficio di guardiano di don Orione.

Come noto il nostro santo fondatore, sensibile alle richieste di aiuto morale e spirituale di benefattori e di anime bisognose di conforto, si recava ogni giovedì a Genova ( lo farà poi anche al Cottolengo di Milano il martedì).

Per lunghe ore chiuso nella stanzetta che ancora oggi si conserva intatta, ascoltava, confortava, diceva la parola dei santi e - collaboratrice anche la citata superiora, suor Maria Stanislaa che aveva presentato privatamente le necessità econoniche dell’opera-, riceveva buone offerte per i suoi seminaristi e le sue opere di carità..

Di  passaggio, al proposito va ricordato l’incontro con il giovane prete che diventerà poi il Cardinal Siri, di cui nella stanzetta delle…udienze si conserva ancora un quadretto autografo dal titolo «  l’ho incontrato qui ». La pagina del cardinal Siri dov’è inserito un particolare curioso merita di essere riportata per intero anche se parte da lontano.

         “La vigilia della morte, a Sanremo, fa attendere un visitatore, perché essendo in riparazione la veste, deve stare a letto. Non ne ha altre.

         Ha la forza di nascondere sotto il sorriso largo e l’abituale vivacità, sotto la prontezza perspicace, qualunque agitazione e pena, qualunque travaglio: il sacrificio deve essere naturalissimo e semplice. Tutto è bruciato in lui, ma senza affumicare nessuno. Tutto deve essere naturale nel pieno distacco, così la carità diviene senza misura. Il calore abituale e travolgente, la fatica senza sosta, il sorriso del buon umore, la giovialità dello scherzo, sono l’epilogo esterno di un lavoro noto solamente a Dio e le cui tappe si possono forse ricercare, nelle lettere, più da imponderabili vibrazioni che da parole ed in certi splendori propri dei Santi, ma che in sostanza diede la assoluta semplicità alla sua carità e al suo stile. In altri termini, la sua carità costava e costò la sua intera vita. Essa si vide e con essa nascose se stesso.

         Per tale motivo fu carità senza misura, dato che nulla ad essa tolse o nulla contro essa si riservò.

         Arrivò così ad una forza irradiante.

         Lo conobbi alcuni anni prima della sua santa morte e fu così.

         Veniva ogni giovedì al Piccolo Cottolengo di Genova, dove in uno stanzino al piano terreno riceveva tutti. Andai anch’io. Quando sbucai in Via Bartolomeo Bosco vidi questo spettacolo. La strada era piena di gente tanto che non era facile l’avanzare. “Aspettiamo Don Orione” mi dissero. Mentre tentavo di guadagnare la cancellata di Santa Caterina, udii un mormorio e, osservando dall’alto la strada in discesa, scorsi in fondo un’auto che tentava fendere la folla. Quando l’auto passava, ai lati la gente  s’inginocchiava. Vicino a me un uomo protestava per tutto questo, ma quando l’auto  fu all’altezza di lui, s’inginocchiò.

         Predicava sempre con calore insolito, ma l’effetto che se ne sentiva dentro era molto superiore alle cose che diceva. E’ vero che di lui si sentivano narrare cose straordinarie e mirabili, è vero che in tante case si conservano memorie di sue visite contrassegnate da singolari effetti della sua preghiera, ma la comunicazione di un singolare senso avveniva anche solo a vederlo”

Finiti gli incontri e mangiato un boccone don Orione aveva estremo bisogno di riposarsi un’oretta e a volte più dopo le ore 16. Dove ?

Nei fondi della casa, nel deposito del carbone e all’occorrenza dei morti, dove la superiora gli aveva fatto mettere una specie di sofà e un paio di coperte.

Per non farlo disturbare Ambrogio veniva messo di guardia davanti alla porta. Lui stava lì paziente e attento. “Quando poi usciva don  Orione, mi diceva: cosa fai qua ?. Rispondevo : devo fare questo servizio. Mi dava una benedizione e una volta anche un bel ricordino” raccontava.

Dal Cottolengo di via Bosco Fratel Pavesi era passato a Villa Moffa nell’anno 1939-1940 diventando religioso con i suoi santi voti.

Fu quindi destinato al Paverano, con le solite mansioni di meccanico, elettricista, questuante, fattorino, aiuto cucina, allora tenuta esclusivamente dalle suore aiutate da alcune « buone figlie ». Niente di particolare se non il suo zelo sempre disponibile, la sua povertà nel vestire, nel prendere i pasti  la sua esemplare pietà e fervore religioso.

 

I sacrifici durante la guerra

La guerra, 1942-1945, che colpì con i bombardamenti  anche le case del Cottolengo, fece traslocare i tanti poveri  in luoghi di fortuna per lo più nel tortonese, dato che a Tortona don Sterpi, Supetriore Generale dalla Morte di don Orione, aveva fatto la sede logistica di raccolta e smistamento di viveri e dove faceva confezionare ogni notte quintali di pane nel forno del Groppo, sotto la casa delle Sacramentine cieche, a 500 metri dal Santuario della Guardia.

Di Pavesi si ricorda ancora il servizio di approvvigionamento alla casa di Villa Romagnano, ove erano ospitate una settantina di orfanelle ad 8 km. da Tortona. In bicicletta, per una stradaccia dissestata, Ambrogio faceva anche più viaggi al giorno, col rischio di essere mitragliato dagli aerei che tiravano su qualunque cosa si movesse . Raccontava con buon umore qualche caduta

( Fratel Carminati cadde in quei paraggi colpito col suo motocarro proprio per un servizio di carità).

Ricorda suor Gloria che Pavesi andava a piedi da Genova a Sottocolle, 22 km, per portare alle “ buone figlie”lardo, latte in polvere, uova, patate.

Il ragioniere Giorgio Pisotti, contabile da una vita al Paverano, ricorda che Pavesi faceva lo spallone ( sacchi e grossi zaini)  insieme al volontario Valle Giovanni, fino a Torriglia, 25 km. ov’erano sfollate le suore con delle ricoverate.

       Ma la sua vita di 60 anni di servizio al Cottolengo, meriterebbe tanto di più.  E se ne dirà in una seconda biografia in corso di preparazione.

Piace chiudere queste righe con un’appendice.

Il sepolcro privilegiato.

Si è detto degli ultimi mesi di vita di questo santo religioso che il 2 novembre 1997 morì, improvvisamente nella nostra colonia di Sassello, 70 km da Genova, all’età di 85 anni.

Si portò la salma al suo Paverano, vennero alcuni parenti,  si dispose per la sepoltura ordinaria, in una  fossa di Staglieno.

Tutto era pronto quando, non saprei dire la circostanza specifica, la famiglia Solari, famiglia legata da sempre a don Orione da legami di amicizia e di beneficenza-era della loro famiglia la signora Queirolo che aveva dato il  milione per l’acquisto di Paverano-, si fece avanti con una proposta : abbiamo la tomba di famiglia al cimitero di Bogliasco, con tre loculi vuoti, perchè non ci mettiamo il nostro Pavesi ?

Disposizione della Provvidenza, coincidenza casuale ?

Chi scrive  ebbe l’onore di presiedere la Messa del funerale al Paverano, gremitissimo e di partecipare poi al piccolo corteo funebre.

Nel cimitero di Bogliasco, come ci mostra la foto, c’è la bella tomba che ne raccoglie le spoglie. La scritta “ FRATEL AMBROGIO PAVESI -1912-1997- Accolto dal Beato Luigi Orione ne seguì le orme servendo per 60 anni i poveri più poveri del Piccolo Cottolengo”.

 Con un paragone indubbiamente ardito e temerario ci pare di sentire la profezia del sepolcro di Gesù : la sua tomba sarà quella di un ricco.

Povero Pavesi, ti è andata anche bene.

 

Di lui hanno detto così

 

Testimonianze.

Avrebbe certamente riso Fratel Pavesi e si sarebbe schermito di sapere che qualcuno lo guardava e tanto meno lo spiava per raccontare poi in giro quanto era bravo. Una cosa che ripugnava al personaggio, schivo di apparire, di farsi notare, sentendosi una povera cosa.

Ma la Provvidenza ha fatto puntare sull’umile orionino i riflettori di amici e conoscenti in qualche modo interpellati.

Essendo vivo, alla sua santa morte, gran numero di persone, di sacerdoti, suore, laici che lo incontrarono o lo ebbero compagno nel corso della sua lunga vita di fratello religioso, possiamo presentare un discreto numero di testimonianze, anche se la sua vita, passata quasi per intero al Piccolo Cottolengo, non ha fatto riscontrare un largo ventaglio di conoscenze e di relazioni.

Mettendo gli occhi nella sua cartella che, come di ogni religioso si conserva nell’archivio della Provincia religiosa di San Benedetto, la provincia cui l’aveva assegnato l’obbedienza, non si trova granché.

Ma il poco sembra sufficientemente indicativo.

C’è una scheda del Direttore della casa, il sac.Don Luigi Nicco, che nella sua abituale concisione dice molto. Fa parte della relazione che il direttore della casa, ogni anno, faceva per regola al suo superiore maggiore  e riguardava il comportamento religioso e morale dei confratelli.

Ecco la scheda che il direttore don Luigi Nicco, fa di fratel Pavesi, al termine dell’anno 1960-1961.

 

RELAZIONE  sulla condotta del Fr. Pavesi Ambrogio

Carattere :            Mite, aperto.

Disciplina :           Osservante coscienzioso.

Salute : Abbastanza buona, soffre un po' nel periodo invernale ai bronchi.

Spirito di pietà :    Ama molto le pratiche di pietà e vive veramente lo Spirito di Preghiera.

Bontà d'animo :   Buono, servizievole fino al massimo sacrificio di se stesso specialmente per gli infermi.

Umiltà : Umilissimo non ha nessun concetto di sé, si ritiene sempre 1'ultimo della Casa.

Obbedienza : Sempre pronto ad obbedire con generosità.

Moralità :           Ottima.

Spirito di sacrificio e lavoro : Lavora molto e volentieri, e cerca sempre gli uffici più umili.

     Attitudini particolari : Lavora un po' come tubista.

 Vocazione : Vive intensamente la Sua Vocazione ed è di esempio a tutti: Religiosi e Ricoverati.

                                             Don Luigi Nicco

 

Va notato che Fratel Pavesi ha ormai 48 anni e da venti anni è religioso con i santi voti.

Va notato anche che don Luigi Nicco era un sacerdote generosissimo, parco di parole, non certo portato ad esagerare nei suoi giudizi. Una scheda che ogni religioso vorrebbe avere.

L’arcivescovo Amministratore della Santa Casa di Loreto, mons.Angelo Comastri, mentre era Vescovo di Massa Marittima, fu invitato a dettare un corso di Esercizi Spirituali ai religiosi orionini, a Sassello. Era l’estate 1992.

A questo corso cui presero parte 45 religiosi fu presente anche il nostro Pavesi, come testimonia anche una foto di gruppo.

Saputo della morte di Fr. Pavesi, inviò questa sua  testimonianza:

Carissimo Don Aldo,

 il buon Don Mario ( Mario Magnani) mi ha comunicato la notizia del passaggio al cielo di Fratel Ambrogio.

Ricordo benissimo il lungo incontro avuto con lui durante il corso di esercizi che ebbi la grazia di animare: venne con una umiltà ammirevole, ascoltò con una semplicità evangelica, parlò come se fosse 1'ultimo servo dell'ultimo fratello!

Aveva il cuore pieno di Gesù: in lui era facile riconoscere Gesù nel gesto meraviglioso della lavanda dei piedi; in lui non si faceva fatica a capire che il comandamento dell'amore è il primo comandamento di Gesù.

Ora abbiamo un nuovo santo in cielo: io comincio già a pregarlo.

Con affetto e gratitudine

                                                                             +Angelo Comastri

 

Il Direttore Generale della Congregazione, Don Giuseppe Masiero, in data 17 dicembre 1990, gli scrive un biglietto :

Carissimo Fratel Pavesi,

Grazie, grazie infinite dei ricordini che mi ha voluto mandare in occasione del suo 50.mo di Professione Religiosa.

Grazie anche per il lavoro che ha compiuto in questi cinquant’anni per tanti «  poveri » del Signore.

Tutta la Congregazione le è grata : soprattutto per la sua testimonianza di vita religiosa.

Don Orione benedica e prolunghi ancora per tanto tempo questa tappa di « ORIONINITA’ ».

   Mi raccomando alle sue preghiere, anche perché sono un compaesano ! !

Con affetto

                                                     Don Giuseppe Masiero

 

 

Un suo ex Provinciale, Don Luigi Valerio :

Carissimo Fratel Pavesi,

 i vostri auguri mi giungono sempre graditi. Mi vado domandando come mai Fratel Pavesi si ricorda sempre di me.

È un grande conforto che mi date... Ricordo sempre il vostro viaggio quando siete andato a Tortona per entrare nella Congregazione. Ricordo il vostro servizio, umile, nascosto, ma tanto prezioso presso Dio e domani così  tanto generosamente premiato dal Signore.

Bravo, caro Fratello.  Il vostro esempio, la vostra pietà, la vostra modestia mi sono stati e mi sono tuttora di grande incoraggiamento. Pregate per me perché possa vivere da buon religioso e sacerdote.

Vi saluto e auguro ogni bene.

                                                                       Don Luigi Valerio

 

 

Da notare che Fratel Pavesi, ogni anno a Natale, a Pasqua e per l'onomastico sriveva una cartolina di auguri (aiutato negli ultimi anni da Don Antonio Ruggeri) ai Superiori Maggiori, agli ex Provinciali (Don Matricardi, Don Valerio), a Mons. Gemma, a Don Alesiani,ecc... Faceva firmare anche tutti quelli che poteva trovare.

 

Il Vicario Generale del 1978.

Significativo  un biglietto di Don Giuseppe Aureli, Vicario Generale della Congregazione.

 Roma, agosto 1978 

Caro Pavesi,

…la dedizione totale, silenziosa, modesta al dovere è amore verso Dio e ai fratelli, anche se rimane inosservata.

Cresca Gesù in voi .

Don Giuseppe Aureli

Vicario Generale P.O.D.P.

 

 

Il Vicario Generale della Congregazione, Don Vincenzo Alesiani

 alla morte di Fratel Pavesi.

Ne riportiamo alcune riflessioni :

 

Cari Confratelli,

di fronte alla notizia della morte del Fratello Pavesi, mi sorge spontanea dal cuore una preghiera di ringraziamento al Signore per averci dato un fratello cosi.

Mi sembra che dandocelo, abbia come voluto rispondere im- plicitamente alle nostre inquietudini e necessità di modelli viventi.

A noi che moltiplichiamo discorsi e scontri sulla nostra identità religiosa, il Signore ha donato un fratello sereno e operoso che parlava poco con la bocca ma tanto con la vita, un fratello schivo e modesto, poco appariscente ma tutta sostanza e interiorità.

..un fratello che passava abitualrnente lunghe ore in adorazione eucaristica,

 … un fratello innamorato lettore e conoscitore della Parola di Dio.

… un fratello premuroso verso i poveri e gli ammalati, visitandoli ogni giorno con delicatezze materne.

Grazie, Pavesi, per questo tuo esempio di vita e di amore alla Congregazione.

Grazie, Signore, per averci dato un fratello così.

                                                            Don Vincenzo Alesiani

                                                                  Vicario Generale

 

 

TESTIMONIANZE

A questo punto della nostra breve esposizione vogliamo riportare alcune testimonianze che ci sembrano significative, avvertendo che di alcune si è fatto cenno nell’introduzione o nelle pagine precedenti, ma che qui vengono riportate alle fonti e con qualche particolare in più.

 

Auguri dal noviziato

Tra le poche cose conservate in una scatola da scarpe da Fratel Pavesi, c’è una lettera  dei suoi compagni di noviziato ( anno 1939-1940 ), con la firma di tutti, inviata a lui quattro mesi dopo la prima professione, emessa il 15 agosto.

E’per il suo onomastico ( Sant’Ambrogio, 7 dicembre ).

Ne trascriviamo alcune righe :

Carissimo Ambrogio,

La fausta ricorrenza del Vostro Onomastico non può scorrere inosservata, non può non destare nel nostro cuore e nella nostra mente la vostra grande figura. 1 molti esempi di obbedienza, di carità, di vero spirito religioso sono stati profondamente scolpiti nel nostro animo, e sempre pensiamo a quel giorno del distacco con dolore. Una sola cosa però conforta il nostro animo, il pensiero di trovarci e di vivere ancora insieme qualche volta in questa misera vita.

Per ora la locale lontananza non permette in questo giorno di esservi accanto, come è nostro vivissimo desiderio, e poter in qualche modo esternare quei sentimenti che albergano nei nostri cuori. A supplire ciò, oltre a questa lettera vi è la preghiera e il nostro pensiero. Ecco dunque il più importante: noi nel giorno di S. Ambrogio serberemo ai piedi dell'Altare e della Madonna della Guardia e alla tomba del nostro Don Orione uno speciale ricordo, che partirà dal profondo del nostro animo e vorrà essere come una riconoscenza e una gratitudine, una richiesta di  perdono per tutte quelle offese che, o per età giovanile o inavvedutamente, abbiamo potuto arrecare al vostro cuore….

Seguono i saluti e le firme di 44 suoi compagni.

Vuol dire che Pavesi, anche a Villa Moffa, aveva lasciato un segno.

 

Col carretto a mano a Livellato

 

Una breve visita ai tre fratelli di don Severino Ghiglione: Giacinta, Rosetta e Luigi a Livellato - il paese di Benedetto Pareto - cinque Km. sotto il colle della Guardia di Genopva, ci assicura di una iniziativa più volte ripetuta nel corso della guerra 40-45 dal nostro Ambrogio.

Patate, pesche, vino, legna venivano bene per il Paverano e per la casa di carità di Via Bosco. Il più giovane dei fratelli di Don Ghiglione, Luigi, ricorda che allora erano tanti (a tavola erano in tredici!) e c'era roba di provvidenza che il buon Pavesi periodicamente passava a ritirare facendo i suoi 17 +17 km. a piedi e certo non in pianura, con un carrettino.

Arrivava ai Bastianén tutto sudato con uno o due ospiti del Piccolo Cottolengo; mangiavano un piatto di minestra con un  buon bicchiere di vino che si faceva  in casa, e via per la discesa ove un sentiero non carrozzabile sbucava a Bolzaneto.

Di questa cosa si ha conferma anche dalla Profssa Torre Anna Maria.

 

Non lo diceva di essere un consacrato

 Riferisce la signorina Consuelo (laica consacrata di Teresa di Calcutta):

"Quando era in cortile e vedeva qualcuno che sembrava un po'sperso si avvicinava sempre e chiedeva se poteva essere utile.

Se gli domandavano che ufficio avesse, diceva di essere uno del Cottolengo.

Ma si guardava bene - per umiltà - di dire che era un Religioso, un Consacrato.

 

La carrozzella, la banana a giorni alterni

Suor Pudenziana,75/nne salvata per grazia di Dio e per   un mezzo miracolo attribuito a Suor Maria Eugenia di Bitti (emorragia cerebrale, tumore,  coma per un mese), quando nella Pasqua del '97 riprese ad andare a Messa in carrozzella, divenne uno degli impegni e delle cure  di Fratel Pavesi.

Puntualmente la andava a prendere, la spingeva all'ascensore, l'avvicinava al banco in Chiesa. Dopo le funzioni, tutto in senso contrario. Puntualmente e con garbo. Suor Pudenziana ne ricorda la premura, semplice e delicata. In più le voleva dare una banana tutti i giorni. Sembrò troppo alla brava suora.

Ma vennero ad un compromesso: "Un giorno e a me un giorno a Lei".

 

Tempo di Guerra : le sudate a sottocolle

 

Le sudate di notte

Dice Adriana, la vecchia organista delle Beniamine: "Nel'45 fui mandata in convalescenza a Sottocolle dove si trovavano una novantina di orfanelle con Suor Teofila. Eravamo in tante e si dormiva anche nella stalla che poi è diventata la Cappella. Ogni tanto, ad ora tarda, anche dopo mezzanotte, venivo svegliata per aiutare a scaricare il furgone carico di quintali di scatolame: (pesce, latte in polvere, olio, pelati, detersivi). Era Don Nicco che mandava dal Paverano di Genova quella merce che teneva in deposito per le case del Piccolo Cottolengo. Di solito era merce avuta dai sequestri effettuati dalla Guardia di Finanza o anche roba « di Provvidenza », da metter via di nascosto dei tedeschi o dei fascisti. Con l'autista Isola e Luigi detto "Barilotto" c'era sempre Fratel Pavesi.

Lui non voleva che noi ragazze scaricassimo la merce perché la roba pesava troppo. Ci diceva che avrebbe lavorato lui per noi... E c'era da sudare perché il camion si fermava sul cancello e c'era da fare una trentina di metri in salita per arrivare al deposito.

Suor Gloria aggiunge : mi hanno tante volte raccontato che durante la guerra andava spesso a piedi da Paverano a Sottocolle (22 km!) dalle orfanelle per portare lardo, latte in polvere, uova, patate.

 

È roba pulita

Negli ultimi tempi al Paverano per la mensa c'è una ditta che deve buttare, ogni fine pasto, quel che avanza.

Ci racconta Adriana che è dalle Beniamine:

"Fratel Pavesi ci stava male a vedere sprecare la roba e quando poteva si riempiva le tasche o una grossa busta e scendeva dalle Beniamine: Prendete - diceva - è roba che buttano via. Ma è roba buona, roba pulita. Si vedeva che ci soffri va a vedere Io spreco".

 

I poveri non si fanno servire

Racconta Suor Guidina, che fu a Paverano dal '76 al '92 e lavorava nel Reparto Santa Fede: "Pavesi si considerava un povero. Venne al Reparto con febbre e malconcio per un edema polmonare.

All'ora del pranzo si alzò per scendere in cucina a prendere qualcosa. Lo rincorsi e lo obbligai a stare a letto. Ma non voleva a tutti i costi che io gli portassi il vassoio che si dava a tutti: "I poveri non si devono far servire" mi disse, rassegnandosi poi alle mie insistenze.

 

Quattro note di don Ettore Conti

Parroco della Parrocchia S.G.Cottolengo del Paverano

 

La sua fede

"La cosa che mi ha colpito di più, in 16 anni che gli sono stato vicino, è stata la sua FEDE. Mai un abbassamento di tono, di fiacca, di alti e bassi.

Un trasporto sempre altissimo verso l'Eucarestia, il Rosario, Don Orione".

 

Servizio ai fratelli

"I tanti Sacerdoti e Fratelli passati al Paverano (nel periodo del dr. Podestà), per interventi chirurgici, per convalescenza, per chiudere la vita terrena, nel reparte San Roberto - allora riservato ai religiosi infermi - hanno avuto in Pavesi un costante, quotidiano, continuo aiuto a tutti i livelli, in tutti i settori: medicine, cure, commissioni,servire le Messe.

Su questo punto si possono sentire le Suore passate al Reparto San Roberto ».

 

La cinghia dei calzoni, le lamette usate 

 

« Aveva da tempo al posto della cinghia dei calzoni uno spago.

Capitatami una cinghia di pelle che gli andava bene volli offrirgliela.

Con molta cortesia la rifiutò scrollando le spalle, sorridendo: andava bene lo spago.

Una volta mi domandò con che cosa mi tagliassi la barba. Risposi che usavo le lamette. Allora mi disse : le lamette che hai usato passale a me. Io ho la pelle dura e quelle mi vanno sempre bene.

 Lo vidi spesso aggirarsi nei reparti del Cottolengo. Con qualche ammalata che non aveva amici o parenti, si fermava, dava un'occhiata intorno e allungava una mela, un frutto, in modo furtivo. «Tieni, non dire niente a nessuno".

 

Mai infastidito

« Fino al 1982 accanto alla sala da pranzo dei sacerdoti esisteva un'altra sala da pranzo per i nostri "collaboratori" (meglio "Buoni Figli", come ad  esempio Virgilio, Grandi Maurizio, Giorgio e altri).

Ambrogio mangiava con loro. Quando fu invitato  e quasi obbligato a prendere i pasti con i Confratelli fece fatica ad accettare lo spostamento perché voleva restare con quelli che Don Orione chiamava i nostri padroni, anche se spesso litigavano e rendevano pesante l'ambiente.

Credo che Pavesi abbia capito profondamente l'autentico spirito di Don Orione, soprattutto nella povertà radicale, nell'amore ai più bisognosi ad ogni livello: si dava, si consumava per tutti gli ospiti del Paverano; con grande trasporto e gioia, mai stanco, infastidito. Quando c'era da servire, non l'ho mai visto tirarsi indietro o dire "sono già occupato".

Ho partecipato ai funerali di un suo fratello al paese natio- scrive ancora don Ettore- Mi ha colpito la sua compostezza, la grande fede che lo rendeva abbandonato alla volontà di Dio. Intensamente partecipe al dolore di tutti i parenti; ma in Lui leggevi una Speranza nella risurrezione davvero eccezionale. Anche in questa occasione le grandi verità di fronte alla morte lo avvolgevano totalmente."

Così don Ettore Conti.

 

Il pranzo di nozze

C’è una foto- ricordo del fratello di Ambrogio, scattata al Figogna, Madonna della Guardia di Genova, anno 1953.

La cognata Ambrogia ci racconta: "Il 15 novembre del 1952 mi sono sposata con Enrico Pavesi e due giorni dopo sono andata a Genova per il viaggio di nozze.

Siamo arrivati in treno alla stazione Principe e Ambrogio, benché da diversi anni non vedesse il fratello, da in cima alla scala cominciò a salutarci con la berretta.

Quando siamo stati vicini ha baciato il fratello e a me ha detto: sono Ambrogio, tuo cognato. Il viaggio di nozze lo abbiamo fatto stando 8 giorni al Paverano dove ci davano da mangiare e da dormire (il nostro era un viaggio di nozze da poveri). Tutto il giorno, un po'a piedi e un po' in tram, con Ambrogio, abbiamo visitato tutte le chiese di Genova ed anche il Cimitero di Staglieno.

Poi, nel 1953, verso Pasqua, siamo venuti a Genova perché avevamo fatto una promessa alla Madonna della Guardia di andare su al Santuario.

Con mio marito, con Ambrogio e un malato del Piccolo

Cottolengo siamo saliti al Santuario e la Suora della cucina ci preparò un bel pranzo con vino, frutta, formaggio, salame e tanti bei panini. Anche il dolce: mise tutto in una valigia vecchia.

Siamo stati a Messa, abbiamo fatto un bel giro tutto intorno al piazzale e quando ci siamo girati abbiamo visto Ambrogio in mezzo a un gruppo di poveri seduti in circolo per terra. Tirò fuori 4 panini per noi - uno a testa - e lasciò il resto e anche la valigia a quei poveri seduti per terra.

Disse: «Prendete! Mangiate, buona gente, divertitevi!».

Conclude la cognata (che ancora abita a Liscate - MI): mangiato il panino siamo andati ancora in Chiesa a pregare la Madonna e poi siamo discesi tutti contenti al Paverano.

Però la Suora ha sgridato Ambrogio.Gli ha detto : «Pavesi... almeno la valigia dovevate portarmi indietro!».

Per concludere

Giunti alla conclusione di questa raccolta di piccoli quadri, vogliamo allegare tre  cose :

Una parte del discorso fatto al suo funerale

Un articolo che uscì sul bollettino

Una specie di intervista

 

Al suo funerale

Dall’omelia al suo funerale

 

Vorrei ricordarlo non tanto per gli aneddoti, anche curiosi, del suo viaggio da Comegliano di Troccazzano, (una ventina di Km. da Milano) fino a Tortona nell'inverno del 1931; quanto per quel che è stato, per quel che ci ha lasciato.

Mi sono voluto assicurare questa mattina da Francesco, uno dei sette figli maschi di Pavesi Giuseppe e che è qui a questa celebrazione con gli altri tre fratelli ancora vivi: approfitto per salutarli.

Mi assicura Francesco che il padre, Giuseppe, nel 1938 andò a Tortona a trovare don Orione e come al solito si inginocchiò davanti a lui: "davanti ad Ambrogio dovete inginocchiarvi, non davanti a me" gli disse don Orione.

Assicura Francesco che il padre l'avrà raccontato 100 volte questo episodio.

Il rapporto con don Orione, l'inizio della vocazione è indicativo.

Sentì parlare di don Orione dal parroco e dagli zii di un chierico di don Orione, certo Azzolari che era assistente all’isituto Sant’Antonio per orfani di Cuneo.

"Questo chierico mi disse come dovevo fare : fare i documenti e mandarli a lui. Lo feci, ma non arrivò nessuna risposta. Il Parroco mi diceva: pazienza, pazienza, ma non arrivavano mai.

I miei genitori erano contrari e cosi anche il Parroco".

Fatto sta che Ambrogio per qualche giomo diventa taciturno, poi dice al padre:

 «  voglio andare da don Orione".

Il padre, falegname agricolo, fa fatica a mandare avanti la famiglia e Ambrogio, che è il secondo dei figli, non può piantare lui, la madre Desolina e tutti gli altri fratelli più piccoli. L'ultimo fratello, il 7.o non ha ancora un anno.

Ambrogio dice che all’epoca, pascolava le bestie. Insieme ad un bovaro badava a 60 tra mucche e vitelli.

Ma in Ambrogio è successo un fatto che forse si spiega quando si legge di certe vocazioni: quella di Sant'Antonio Abate, ad esempio, che a 20 anni sente leggere il brano del Vangelo che dice: "Se vuoi essere perfetto va,  vendi quello che hai, dallo ai poveri ... poi vieni e seguimi » Antonio lo prende alla lettera. E va.

Oggi si festeggia San Carlo Borromeo. Scrivendo del cugino di lui Cardinale Federigo Borromeo il Manzoni adopera queste parole: " badò fin dalla puerizia a quelle parole d'annegazione e d'umiltà, a quelle massime intorno alla vanità dei piaceri, all'ingiustizia dell'orgoglio... Badò, dico, a quelle massime, le prese sul serio, le gustò, le trovò  vere... e propose di prender per norma dell’azioni e dei pensieri quelle che erano il vero".

 

Così è per Ambrogio che prende la decisione irrevocabile: andare a Tortona per diventare un figlio di don Orione.

Partì come Abramo senza sapere altro che un nome: don Orione; una città: Tortona.

Non ha neanche 10 centesimi, non ha nessun documento d'identità e a piedi si allontana da casa verso Milano.

Passa la prima notte da una famiglia di conoscenti, i signori Papini. Poi chiede aiuto a un convento di frati e questi lo mandano all'ufficio dove si facevano i visti per un biglietto ferroviario, presso la stazione di Milano.

Da qui lo mandano a San Vittore,  al noto carcere di Milano, ma non possono far niente: "però mi hanno fatto dormire in un alloggio per barboni".

 Dopo la notte ancora in cammino. La sera dopo trova un tale che gli chiede : "vuoi un posto per dormire ? Si. - Hai un documento ? No. Allora vieni con me. Io i documenti ce li ho e tu dirai che sei mio nipote."

Così anche questa volta una cascina lo ospita.

Decide quindi di andare per Pavia, a piedi, fino a  Tortona.

Sono passati dodici giorni dalla partenza e la sera, la vigilia di Natale lo accoglie don Sterpi al Patemo.

Gli fa fare una bella mangiata di castagne, ma per dormire lo manda in un alloggio per cavalli  dove c'era la paglia asciutta. "Ci ho dormito vestito per alcune notti. La paglia era asciutta finché non arrivarono i cavalli. C'erano i pidocchi.

Dopo alcuni giomi arriva il padre, avvisato da una cartolina: lo vuole riportare a casa assolutamente. Il padre parla con don Orione e tutto si appiana.

Fa il Noviziato nel 39 professando all'Assunta del 40. Poi viene a Genova.

Qui passera la sua vita con alcuni brevi periodi a via Bosco e a Castagna per finire stabilmente al Piccolo Cottolengo del Paverano.

Di via Bosco ricorda il carrettino con la damigiana per raccogliere nei bar i fondi di caffè del giorno prima: facevano diventare, mescolandoli, più buono il caffè di cicoria per le ricoverate.

Anivando don Orione settimanalmente per incontrare i benefattori, lui gli vegliava una mezz'ora di riposo nei fondi, vicino alla carnera mortuaria: "mi dava sempre una bella benedizione ed una volta anche un ricordino".

Di Castagna ricordava il suo lavoro da manovale muratore ed una predica di don Orione ai chierici nella chiesa di San Benedetto. Una predica forte di don Orione che passava vicino ai banchi guardando in faccia i chierici uno ad uno: tutti rossi come peperoni.

A Paverano tutto il resto della vita: idraulico, custode delle caldaie, garzone di cucina, infermiere, facchino di tutti. Soprattutto la sua attenzione era per i poveri: li lavava, gli faceva barba e capelli. Aveva un deschetto per mettere qualche tacco alle scarpe e dare due punti a una tomaia.

Faceva da assistente ai preti malati dal servire la Messa ai clisteri.

A don Mugnai, allora Direttore Provinciale, chiese il permesso di dare qualche cosa ai più poveri delle corsie: "Ci sono alcune persone che non hanno neanche un bicchiere d'acqua". Don Mugnai, che era direttore, gli disse che se gli capitava qualche soldo poteva spenderlo per quel che serviva ai poveri delle corsie: una mela, uno jogourt, un pezzo di dolce. Ogni volta che poteva andava ad imboccare qualche persona che ne era impedita... Con tenerezza e rispetto.

Eppoi pregava e pregava. Sua cognata di Roma questa mattina mi dice che, a casa sua, si prega sempre prima dei pasti: lo imparò da Ambrogio che ci teneva e voleva che tutti lo facessero.

La preghiera dei poveri: il rosario, il breviario. Ore ed ore davanti al Santissimo.

Oggi il suo funerale: "Nessun Fratello aveva una mistica cosi" dice don Bernardi.

Del poverello d'Assisi è stato scritto : "Franciscus pauper et humilis coelum

ingreditur".

Nella sua camera non abbiamo trovato niente: un vecchio breviario, una busta con gli indirizzi dei parenti, la carta d'identità, una macchinetta per tagliare i capelli, alcune lime e ferri da idraulico.

Non ebbe la patente, e neanche la. dentiera.

Il vestito che ha indosso per 1'ultimo viaggio non è di Gianni Versace: non ha mai voluto un vestito nuovo. Anche per le scarpe ricorreva al deposito dei poveri: due tre centimetri in più non facevano difetto.

Se stava a lui non avrebbe voluto una cassa da morto nuova: gli bastava una di seconda mano.  O anche niente. C'è da scommetterci.

Si dice che dopo morto ogni persona è buona.

Lui era buono da vivo. Buono da metterlo su un altare.

Hanno fatto il giro alcune sue frasi: "Ho sentito don Orione che diceva: la vita religiosa è vita di rinnegamento e di sacrificio. Due parole sole. Da questo ho capito che don Orione non era un prete come gli altri".

Un'altra, sua preoccupazione: "oggi cè ancora fra noi la carità per i poveri?". Questo è un macigno che ci pesa.

Un fratello ha scritto: "Oggi un altro pezzo di don Orione si è staccato dalla terra per unirsi al cielo ... Tu hai terminato il tuo lungo pellegrinaggio su questa terra e, come quel giorno, troverai ad aspettarti don Orione, Don Sterpi e tanti altri fratelli." Ci si può scommettere.

Qui chiudo.

Partì da casa 66 anni fa senza neanche 10 centesimi, senza documenti.

Non era nessuno.

Adesso se ne è andato. Ma una carta d'identità con una qualifica ben definita, ce l’ha.

"Fratel Ambrogio Pavesi, dei Figli della Divina Provvidenza".

 

(Omelia tenuta da don Aido Viti al funeraie di Fr. AmbrogioPavesi il 4 novembre 1997 alle ore ll,15 nella chiesa del Piccolo Cottolengo  di don Orione di Genova - Paverano)

 

 

DAL NOTIZIARIO della Provincia San Benedetto

 

Fratel Pavesi segui le orme di Don Orione

 È stramazzato a terra, a Sassello il pomeriggio del giorno dei morti, mentre saliva in camera. All'ultimo pranzo con lui il solo don Fulvio Ferrari che lo avrebbe anche riportato a Genova con sé. Ma Pavesi aveva preferito rinviare di due giorni, a martedi.

E martedi ha fatto il suo rientro al Paverano dentro la cassa che ne avrebbe conservato per un po' di tempo le spoglie.

A causa del trasferimento si è dovuto chiuderlo e così rinunciare a poterlo far vedere, composto con il suo rosario, le Costituzioni, l'atteggiamento di chi dorme nella pace di Dio, rivestito delle vesti senza misura del povero, le sole sue.

La chiesa del Paverano stracolma con gente fin nelle corsie e fuori della porta, preti, suore e parenti come si vede dalla foto che pubblica AMICI di Genova. Per una coincidenza si è potuto tumularlo nel cimitero di Bogliasco, nella tomba dei Solari, nostri benefattori.

Mi si chiedono due righe per il NOTIZIARIO.

Penso che sulla figura di questo Fratello di una statura fuori della norma si dovrà parlare a lungo. Qui un cenno di corsa.

L'aneddotica litiosa delle origini, forte e sempre la stessa, non dovrebbe distrarre: "mosse decisamente verso Gerusalemme": Tortona, Don Orione.

"Segui le orme di Don Orione, servendo per 60 anni i poveri del Piccolo Cottolengo", la lapide.

Le orme, per 60 anni. E anche adesso, vecchio e un po' incerto sulle gambe quando passava nel corridoio davanti al grande quadro di Don Orione (la foto del bottone), si fermava un attimo a guardarlo negli occhi e faceva un inchino.

Non era una persona colta; neanche tutte le elementari forse.

Non vedeva la televisione. Ancora e fino a 85 anni

Sempre il primo in cappella la mattina e 1'ultimo a sera... per spegnere le luci.

È toccato a chi scrive, il compito di entrare nella sua stanza al 5.o piano del Paverano e prendere su le poche cose. Sta tutto in due borse di plastica.

Sul comodino un piccolo teschio, una statua di gesso dell'Immacolata plurimutilata e riattaccata, non proprio a piombo, con la colla, il catechismo di PIO X, edizione 1936.

Strano! Il segno è nella paginetta della domanda: "per qual fine Dio ci ha creato? Per conoscerlo, amarlo, servirlo in questa vita e poi goderlo per sempre in paradiso".

Si ripensa a quel suo intercalare, parlando a gettoni - "due parole sole!"

Una busta con alcuni indirizzi di parenti e qualche vecchia foto.

Dentro una piccola custodia la foto dei genitori che li ritrae distintamente defunti, con la scritta: "foto dei miei genitori - Abroggio Pavesi". Si, ha sbagliato il suo nome.

Poi ci sono due pigiama nuovi, ancora impacchettati, un paio di scarpe mai calzate n.o 44, la macchinetta per tagliare  i capelli che ultimamente adoperava solo con Don Dacrema per un rendez-vous.

Nel cassetto del comodino due spolette di filo bianco e nero, qualche ago per dare i punti e due ciottolini, lisci per l'azione levigatrice dell'acqua fluente, adoperati per ridare il filo alle lamette usate che rimediava, come testimonia don Ettore. Entrando in camera la luce non si accende (da quando?).

Va solo la lampadinetta del bagno; sul comodino c'è un moccolo di candela e un po' di fiammiferi di legno.

Don Ettore dice che non volle una cinghia nuova per i calzoni, preferì lo spago. In guardaroba la voce è unanime: niente roba buona anche se - naturalmente - di provvidenza. "Datela ai poveri" Quando i nostri malati (chierici e sacerdoti) erano al San Roberto, al tempo del dottor Podestà, lui li serviva in tutto: con due manone da idraulico... sapeva fare delicatamente anche cose umili, come mettere il catetere o fare dei clisteri.

Suor Pudenziana ricorda che ogni sera, in questi ultimi mesi, andava a visitarla e una sera si e una no le dava un frutto: "Una sera a me e una sera a lei".

Giuseppe Santero che cura i container par la Costa d’Avorio, dice del piede di ferro da calzolaio, del martello, trincetti, lesine di quando Ambrogio faceva anche ... il calzolaio: "Me li dette da mandare in Africa, a Fratel Jean Clément per il reparto ortopedico".

Non volle la dentiera e se ne andò con 1'unico dente che s'affacciava su una bocca che parlava poco con la gente e - ormai consumata dal tempo - farfugliava solo con Dio.

C'è una ammirata lettera del Vescovo di Loreto, Mons. Angelo Comastri che lo ebbe "cliente" in un corso di esercizi da lui predicati a Sassello con espressioni che ne indicano (cosa e come abbia fatto poi a inquadrarne l'anima in 6 giorni?) un servo di Dio, che lui, Vescovo, sta già pregando.

 

L'INTERVISTA

 

Fratel Pavesi svirgolava quando vedeva che qualcuno voleva mettere per iscritto qualche sua espressione. Non poté sottrarsi però al Provinciale che ne volle il pensiero in occasions della Visita Canonica. Alcune sue espressioni trascritte fedelmente:

 

Essere sempre più famigliarmente uniti.

Delle volte qualcuno non cè in cappella, in refettorio: dovrebbero dirlo prima.

 Brutta abitudine: si incontra il Direttore, il Superiore. Si saluta e non risponde "quello è un brutto segno per me ".

Alle volte basta una parola, un sorriso.

Anche questo: meno etichetta di persona ci vuole, ma più famigliarmente uniti al fratello. Purtroppo delle volte non è cosi.

Da parte nostra certe cose si vengono a sapere dopo tanto: il tale è malato, è morto.

Si sa attraverso un'altra persona. Anche questo.

Con le Suore nessuna relazione, però sempre uniti per le cose della Casa.

Bisogna guardare le cose che si devono fare e vedere se sono state fatte: la scaletta che va su al terrazzino vicino alla cappella ha un pezzo di ringhiera che è lì rotta da due anni.

 Si dice ... fanno un sorrisino.

 Più amore e rispetto per tutti e per la Casa.

Eppoi si capisce, bisogna aumentare in più questa preghiera: essere uniti insieme a questa preghiera.

La mia felicità è questa: quando i confratelli si comportano bene.

La mia tristezza quando non c’è quella coerenza di vita comune :allora cambia specie.

 

NB. Sono espressioni di un vecchio. Forse non coordinate. Forse non importanti. Non saranno i novissima verba di Teresa di Liseux.

Ma le massime di Pavesi sono state scritte con la sua lunga vita nella quale non appare una piega. E c'è un consenso unanime sulla sua virtù.

Eppure  questi frammenti scoordinati contengono  alcune indicazioni preziose.

 

E per finire :E’ POSSIBILE UNA SINTESI ?

 

La storia di Fr. PAVESI è lunga, ma anche breve.

 

C’è un preludio agreste, romanzesco, curioso.

C'è l'impatto con Don Orione, il suo fascino carismatico che gli stravolge in bene la vita.

E ci sono alcune  linee costanti cui convergono i ricordi, le memorie, le testimonianze di tutti:

 

Lo spirito di pietà

la fede profonda, il rapporto con l'Eucarestia, con la Madonna (Rosari e Rosari): l’unione con Dio dall'alba al tramonto con le giaculatorie.

La carità di servizio

la "santa fatica" costante senza soste o ferie per i poveri che non hanno nessuno. Per essi si fa questuante, idraulico, barbiere, "infermiere", garzone muratore, garzone di cucina, facchino sempre.

L’umiltà

L'arte di non comparire, l'atteggiamento costante del povero che conosce i propri limiti come uno del cottolengo.

La povertà

una povertà "crudele", spietata, quasi indecente e peccaminosa. Non ha mai avuto niente. Non ha mai voluto niente, vivendo, al livello dell'ultimo barbone. Per scelta mirata, intelligente quale è l'intelligenza di chi lascia proprio tutto per il Regno.

Un Orionino DOC

Si trova ancora in giro lo "stampo" per farne delle riproduzioni?

 

FINE e Deo gratias !