Figli della Divina Provvidenza (FDP)

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ordine alfabetico per Cognome

 

 Necrologio Figli della Divina Provvidenza (ricordati nel giorno anniversario)  

  

 

A (40)

 

1.      Abalos Americo Miguel

2.      Acevedo Juan

3.      Achramiej Piotr

4.      Acquaotta Serafino fra Umile

5.      Adaglio Giuseppe

6.      Adobati Egidio

7.      Aggio Angelo

8.      Agostini Fioravante

9.      Agustin Esteban

10.  Albera Paolo

11.  Albergucci Roberto

12.  Albertazzi Dalmazio

13.  Alexandre Geraldo Pedro

14.  Alferano Carlo

15.  Alice Andrea Giuseppe

16.  Aliprandi Eugenio

17.  Allione Vincenzo

18.  Alonzo Tomas

19.  Alpeggiani Luigi

20.  Álvarez Martìnez Miguel

21.  Alves Camilo Josè

22.  Alvigini Giambattista

23.  Ambrus Juan

24.  Ancelliero Giorgio

25.  Andrada Dante Luis

26.  Andreani Pietro

27.  Andreos Mansueto

28.  Andretta Marco

29.  Andriollo Giovanni

30.  Andrysiewicz Vincenzo

31.  Antonello Fedele

32.  Antoniewicz Stanislaw

33.  Anzolin Benedetto

34.  Argenti Giuseppe

35.  Arlotti Francesco

36.  Arrue Peiro Antonio

37.  Aureli Giuseppe

38.  Azzalin Mario

39.  Azzaro Giuseppe

40.  Azzoli Paolo

 

 

Sac. Egidio ADOBATI

   25 Gennaio 1952 - Sac. ADOBATI Egidio, da Costa Scrina (Bergamo), morto nella Missione del Goiaz (Brasile), nel 1952, a 35 anni di età, 15 di Professione e 10 di Sacerdozio.

   una pagina della Rivista "Piccola Opera della Divina Provvidenza" del 1956

Presso le sponde di un impetuoso fiume brasiliano, nella bufera che improvvisamente ha sconvolto — il 25 Gennaio u. s. — il Tocantins, si è compiuto il sogno candido ed entusiasta di Don Egidio Adobati e del Coadiutore Giuseppe Serra, di ritorno da una visita ad anime e luoghi divenuti da pochi giorni patria del cuore. Raggiunto appena il suolo, accarezzato nel desiderio e nella preghiera, il Signore ha dato ad essi la corona che premia i generosi suoi servi.

Il 21 Marzo 1942 Don Adobati, novello sacerdote, offriva a Roma il suo primo divino Sacrificio. In quel giorno — lo confidava con semplicità — Egli invocò dall'eterno Sacerdote la grazia, anzi il privilegio, di andare a lavorare in terra di missione. Nel suo spirito raccolto e sereno, con l'ascesa all'altare si compiva anche la totale donazione della vita a Dio per la salvezza delle anime, secondo l'ideale missionario. Nato a Costa Serino di Bergamo, il 10 Luglio 1916, egli aveva ricevuto all'inizio della vita, due grandi grazie: una pia, santa mamma, Caterina Gherardi — degna delle lodi meritate da Margherita Sarto e Mamma Bosco; e un dolce vivissimo anelito alla vocazione religiosa missionaria. Quando entrò, il 15 Ottobre 1928, alla Casa Madre della Piccola Opera in Tortona, sembrò si spalancasse nel suo spirito l'orizzonte di un mondo celeste da tanto tempo vagheggiato. L'incontro con Don Orione e Don Sterpi fu per lui, apparentemente chiuso agli impulsi delle imprese eccezionali e gloriose, un'aurora che andò gradatamente diffondendosi, in suggestivi colori di bene, a ogni parola, gesto, ideale realizzato, suggerito, indicato dal Fondatore. Fatta la prima ginnasio gli fu imposto l'abito Chiericale da Don Orione nella festa della Madonna della Guardia 1929, tra le impalcature del nuovo bel Santuario in costruzione. Compi gli studi ginnasiali a Voghera nel Seminario prò Missioni e, per la filosofia fu scelto fra gli inviati a Roma alla Università Gregoriana da cui usci con la licenza. Il suo temperamento, per natura quasi timido evolutamente ritenuto, si accese agli splendori della Roma Cristiana mentre la filosofia, le matematiche e la musica godettero sempre le sue predilezioni e ne mostrarono la capacità, nella scuola e nell'insegnamento. Dopo il noviziato — 1935 — 1936 — e la prima Professione — 7 Ottobre 1936 a Villa Moffa nelle mani di Don Sterpi — alternò, per salute e obbedienza, gli anni della Teologia — 1935, 1938, 1941, 1942 a Roma — con quelli del tirocinio — 1937 a Villa Moffa e Tortona, 1939, e 1940 a Villa Moffa, dove si era iniziato in quegli anni l'Istituto Filosofico della Congregazione. Tirocinio di scuola, di studio, di pietà il suo, quasi esclusivamente trascorso in quella Casa di formazione, alla quale doveva ritornare sacerdote per disporsi a spiccare il volo per le Missioni agognate. Ordinato a Roma il 21 Marzo 1942 e destinato a Sassello — dal 1942 al 1945 — si fece veramente fratello ai Chierici più avanti in età, ai quali offrì, insegnante, assistente e incaricato della Casa, comprensione, conforto, esempio. Nel periodo sconvolto che anche lassù portò i fremiti e i pericoli delle lotte politiche, Don Adobati, costantemente sereno ed equilibratore, tenne lontano, in comunione di cuori, dal Cenacolo di preghiera e di studio, le onde burrascose delle passioni esterne, preoccupato solo che gli aspiranti al sacerdozio sentissero attorno a sé la efficace dolcezza dell'unione con Dio e dei santi entusiasmi che preparano al religioso, sacerdotale ministero. Dal 1945 all'Agosto 1949, ritornò con le stesse mansioni di insegnante e assistente a Villa Moffa, ultimo approdo, in patria, del suo spirito prima di salpare per il Brasile — 17 Novembre 1949, insieme a Don Paolino Malfatti -che sarebbe divenuto, dopo due anni di intensa preparazione, altare del suo estremo sacrificio. In Brasile prima che gli fosse affidata la direzione della nuova Missione, presiedette alla scuola Teologica dei nostri Chierici in Parajba de Sul, dopo essere stato addetto, per breve tempo, al Santuario di N. S. di Fatima in Rio de Janeiro. — Attorno alla memoria benedetta di Don Adobati, è il cordoglio dei Figli ed amici della Congregazione; ma noi pensiamo che ci sia soprattutto il cordoglio fatto di stima e di riconoscenza, dei Chierici e confratelli giovani per i quali, in tre lustri, ha quasi esclusivamente lavorato Don Adobati.

La sua figura  costantemente  serena e la misurata  pacatezza del suo comportamento, si era fatta per tutti caratteristica della fortunata sua indole e   prova di una virtù germogliata su una candida offerta a Dio mai ritirata e sempre ed ovunque vissuta. Non sembra che in quella riservata calma, incline al silenzio, schiva e pur aperta ad ogni manifestazione di fede e di religiosa gioia, si celasse l'ardente e ardimentoso richiamo alla vita, d'ordinario santamente agitata, del missionario. Si era abituati a vedere in lui una edificante superna luce di intenzioni soprannaturali, la precisione, Io scrupolo dell'ordine, la chiarezza e la distinzione in tutto. La scrittura linda e regolare, i comandi dettagliati, minuti, precisi, la divisione delle mansioni e delle attribuzioni particolareggiata e una palese ripugnanza, solo  superata  dalla volontà, a compiere e fare compiere quanto non apparisse sufficientemente preparato e chiarito, segnavano di distinzione il suo amabile  profilo di Sacerdote ed educatore, fissando la sua cara immagine nel nostro cuore. Niente in lui di quel rumoroso fardello di iniziative geniali o di vulcaniche attività che siam soliti attribuire ad un generoso  valicatore di oceani. Egli stesso forse lo sentiva. E il suo ideale missionario, Don Adobati lo confidava le prime volte quasi pudicamente, irrorato del rossore di chi palesa un segreto ed  una volontà a sé sproporzionata. Ma c'era tanta fermezza in quella volontà, tanto amore geloso  per il bene sognato e invocato da Dio. Lo diceva poi più  francamente che sarebbe  andato   lontano, per non più ritornare, che sarebbe morto là, tra i " moretti „ ! Era facile allora per noi sorridere... Ma la nota immagine di Don Orione tra gli indigeni del Brasile doveva avergli toccato fortemente il cuore, fissandovi un desiderio concreto, una definita  idealità, se, tenerissimo della Mamma, seppe  lasciarla, mentre gli sembrava, e fu, quella la più tremenda prova e la più bella vittoria. Ora che il suo desiderio è coronato nella luce di Dio, ci è caro pensare che spesso l'ardore dei generosi, schivo a rivelarsi, si alimenta tuttavia nel segreto delle  coscienze e nella diuturna,  cordiale accettazione della divina grazia che ne è poi la sicura, insostituibile sorgente. E l'abituale controllo di sé, quel prudente costante esame e discernimento della bontà delle proprie azioni e parole, testimoniava in lui una vigilante virtù, un impegno sincero di perfezione. A lui sovente, ancor chierico, i giovani aspiranti erano portati a confidarsi, ed egli doveva schermirsi, mettendo limite alla altrui fiducia che, comprensibile, era alla sua delicatezza prematura. Fermo in atteggiamento di severità quando fosse convinto che la regola lo richiedesse, superò tutto nella bontà, né la sua voce, chiara come la sua anima, si levò mai per umiliare, ma unicamente per lodare il Signore. La sua arte educativa conosceva solo i mezzi della convinzione e della pietà esemplare e personale. Del lavoro assiduo e implacabile con cui tendeva al proprio progresso spirituale sono testimoni i suoi diari, ordinati e diffusi, luminosi di una sincerità semplice e confidente, i foglietti, i quaderni fatti depositari di sospiri devoti, di aspirazioni, di frecciate amorose al cuore di Gesù e di Maria, di lotte e di vittorie. Essi raccolgono e custodiscono il segreto della sua virtù autentica del suo ideale missionario maturato nel silenzio, perfezionato nel desiderio del possesso di Dio e della salvezza dei fratelli, ai quali giungerà — è nella convinzione e preghiera di tutti — quel bene immenso che egli aveva bramato di compiere, ma del quale il Signore ha voluto e gradito l'olocausto.

Atti del Consiglio Generalizio, gennaio febbraio marzo 1952